Tra le più autorevoli fonti del folklorismo siciliano fra Ottocento e Novecento, tra i grandi nomi di Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone Marino, Serafino Amabile Guastella, bisogna ricordare – o forse riscoprire – Benedetto Rubino (1884-1958).
Nato a San Fratello, in provincia di Messina, farmacista di professione ma soprattutto attento e appassionato studioso delle espressioni materiali della cultura popolare, Rubino ha lasciato parecchie cronache sul mondo popolare del territorio e dei centri dei Nebrodi: prodotti notevoli della profonda attività di studio e ricerca svolta in molti paesi interni dell’Isola in un arco di tempo che va dai primi decenni del secolo scorso fino al secondo dopoguerra.
A lui si devono i noti saggi sulla storia e sulla curiosa festa di Carnevale a San Fratello, ma in larga parte le sue osservazioni e i suoi rilievi analitici, diventarono articoli e reportage per il prestigioso supplemento del Corriere della Sera, La Lettura, e a rileggerli oggi viene fuori un mondo di personaggi, ambienti e storie di cui abbiamo perduto memoria e tracce.
Nella successione degli articoli di Rubino (una trentina), mai pubblicati in volume e perciò poco conosciuti, appaiono descritte le forme della cultura materiale e le antiche tecniche del lavoro creativo e manuale, dall’arte figulina a quella della cottura del pane; così come riprendono spazio le narrazioni delle vicende storiche e le usanze religiose di Acquedolci, Mistretta, Tusa, di tante altri centri della costa tirrenica e, ancora, dei luoghi caratteristici e arcaici delle fitte e – per certi aspetti ancora selvagge – selve dei Nebrodi: le grotte di San Teodoro, i villaggi di capanne, i poveri ricoveri dei contadini e boscaioli che lavorano e vivono in una condizione non dissimile da quella delle loro bestie, anch’esse, come loro, raccomandate alla protezione dei santi: “ogni Santo ha il suo protettorato speciale, le capre sono affidate a San Crispino, le pecore e i pecorai a San Pasquale, gli asini a San Silvestro, i porci a Sant’Antonio ecc. Ai quali santi vengono spesso offerti animali e civaie, sempre che i rapporti tra protettori e protetti siano buoni, altrimenti… sono imprecazioni. Se un asino in salita non vuol andare avanti, forse perché troppo carico, è San Silvestro che non lo fa andare. Ehi San Sibbiestru si sente ripetere con mal repressa collera e giù botte da orbi”.
Ma la carrellata più bella e suggestiva è quella dei mestieri e dei personaggi di un tempo perduto e che abitavano un universo paesano dove lo spazio pubblico e privato aveva fragili confini: negli articoli ‘Venditori ambulanti in Sicilia’ (La lettura, Fascicolo 10, ottobre 1920), ‘I piccoli mestieri delle strade siciliane’ (La lettura, Fascicolo 12, dicembre, 1921), e ‘I gridatori delle vie siciliane’ (La lettura, Fascicolo 2, febbraio 1925), vengono messi in fila e in posa fotografica i venditori di ricotta, di arance, di pesce e d’acqua e le più figure più caratteristiche e pittoresche dei paesi dell’entroterra: il venditore di pianeta, lu rimitu, l’ammola forbici, u caliaru, lu quadararu, lu conzalumi, lu muscaloru, lu manganaturi.
Non mancano in questo universo immobile, che è il mondo rurale, i poeti: in Poeti zappatori in Sicilia (La lettura, Fascicolo 2, febbraio 1923) vengono registrate le voci di rustici contadini avvezzi a versificare con naturale talento, modesti e semplici nei loro componimenti e per questo profondi:
Sù granni li ricchizzi d’un Suvranu
ma la prima ricchizza eni la zappa
declama Carmine Papa, poeta contadino, suggellando, tra fatalità e necessità, una visione della vita che sostanzia quel mondo popolare e siciliano che gli scritti di Rubino raccontano.
Gli articoli su La lettura del ‘folklorista periferico’ Rubino, risentono ovviamente dell’enfasi nostalgica e dell’acritica esaltazione della cultura popolare, a cui non sfuggono gli altri ricercatori di usi e tradizioni popolari del suo tempo. Ma il suo obiettivo intellettuale, di conservare la memoria e la tradizione locale, anzi di farla conoscere ad un pubblico nazionale, si concretizzava in una fase storica in cui arrivavano a pieno compimento le trasformazioni storico-sociali che, iniziate alla fine dell’ottocento, avevano prodotto, nella Sicilia centro-orientale di cui parlano gli articoli di Rubino, il declino del pubblico demanio, l’allontanamento dei contadini dalla campagna e dai boschi, l’emigrazione. Per cui oggi, riletti accuratamente, acquistano un valore certo, non solo di documentazione su una parte di territorio siciliano tradizionalmente poco indagato, ma anche di riflessione sulle sue complesse vicende storiche novecentesche.