Sempre tra i viaggiatori del tardo 700 non possiamo tralasciare di parlare dell’inglese Henry Swinburne. Nato a Bristol da nobile famiglia cattolica nel 1743 passò da giovane in Francia dove studiò in diverse città. A causa della morte prematura del fratello maggiore ereditò ben presto la fortuna paterna e si stabilì definitivamente in Francia, nazione che elesse a sua seconda patria.
A 24 anni si sposò con una sua connazionale Marta Barken, che condivideva con lui gli interessi per i viaggi, le belle arti, la pittura e l’archeologia. Stancatisi della loro vita di provincia, i coniugi Swinburne cominciarono a viaggiare avendo come prima meta territorio francese e poi la vicina Spagna.
Ben presto tuttavia passarono in Italia, ivi attratti dalle notizie sulle bellezze artistiche e di costume. Fu così che si fermarono per circa tre anni, dal 1777 al 1779, nel Regno di Napoli che visitarono in lungo ed in largo, apprendendo usanze, costumi e modi di vita delle genti del profondo Sud. Lo Swinburne dedicò poi a questo lungo viaggio un libro dal titolo ‘Travels in the two Sicilies”, apparso alcuni anni dopo il ritorno in patria (1783).
I due volumi sulle Due Sicilie, stampati e pubblicati a Londra, ebbero subito un grande successo sulla scia del libro del Brydone di alcuni anni prima, che aveva aperto, potremmo dire, la moda del viaggio al sud tra i molti ed annoiati aristocratici europei.
Comparando i due testi notiamo differenti caratteri, stili e contenuti dei due autori: polemico, irritante altezzoso ed anche razzista superficiale il Brydone, coscienzioso, metodico, cosmopolita e tollerante il secondo. Ad onore del Brydone, per noi, c’è il fatto di avere indicato a molti altri viaggiatori europei in pectore l’estremo sud e quindi la Sicilia come meta da visitare per motivi di costume, di paesaggi e di usanze. Allo Swinburne invece dobbiamo delle pagine vere, ricche di sfumature, frutto di testimonianze dirette, scritte non sotto forma epistolare ma come un diario giornaliero.
Ciò gli consentì di essere più preciso, anche se a volte monotono e razionale più del dovuto. Dopo aver girato per i paesaggi campani, pugliesi e lucani e aver visto gli aspetti più originali e folkloristici di queste regioni, lo Swinburne, lasciata la moglie a Napoli, decise di visitare le isole. Per evitare il gran caldo che lo aveva accompagnato e per tanti aspetti tartassato nel tour continentale, sbarcò a Palermo in pieno inverno, ossia nel dicembre del 1777 con tutta una serie di lettere di presentazione, secondo il costume del tempo, per la nobiltà e per l’alto clero cittadino.
Appena sbarcato il nostro viaggiatore fece amaramente i conti con i giudizi negativi dati dal Brydone su Palermo e specialmente sui suoi abitanti: infatti dopo alcune insistenze solo il principe di Torremuzza gli aprì le porte del suo palazzo. Per nulla scandalizzato e fedele alla sua flemma interamente britannica, lo Swinburne passò alcuni giorni a Palermo, intento a visitarne i monumenti e nello stesso tempo a prepararsi per il giro delle altre località isolane.
Completati i preparativi partì da Palermo con due servi, un mulattiere e un campiere armato per difesa, pagato a 40 tari al giorno e che si comportò correttamente durante tutto il lungo viaggio effettuato. Strada facendo fu accolto benissimo in tutte le piccole e grandi città visitate come Alcamo, Calatafimi, Castelvetrano, Sciacca, Ribera, Menfi indi Caltagirone, Siracusa, Palagonia, Lentini e poi la tappa obbligata di Catania. Da qui tentò la scalata all’Etna ma la neve già alta lo bloccò più su dei Monti Rossi di Nicolosi.
Durante tutto il viaggio, reso alquanto difficoltoso dalla mancanza di strade e dai torrenti ingrossati dalle copiose piogge invernali, il viaggiatore fu colpito dalla persistenza del mondo feudale in tutte le varie forme e sfumature: estesi latifondi a grano, contadini legati alla terra, monocolture ovunque, aridità del suolo. Altri aspetti evidenti furono quelli dei signori che nei loro estesi possedimenti amministravano la Giustizia, conferivano le cariche fiduciarie e istituzionali ed eleggevano anche i giudici.
Alla vista delle condi zioni carenti dell’agricoltura e del commercio dell’Isola, lo Swinburne non poté, fare a meno di paragonarle a quelle ben diverse della sua Inghilterra. Attraverso la sua descrizione metodica, seria, priva di fantasia vien fuori la meraviglia di un personaggio nutrito di dottrine economiche moderne, di fronte ad un mondo alquanto arretrato e privo di un sistema fiscale valido.
La mancanza quasi assoluta di industrie legate alla trasformazione dei prodotti agricoli dell’Isola lo colpisce parecchio, così come fa molta attenzione al ridotto commercio mercantile, soprattutto nelle città di mare che ha la ventura di visitare.
Swinburne critica anche il fatto, oggi messo in grande risalto dagli storici, che tutte le merci di consumo dell’Iso la debbano provenire forzatamente da Napoli, mentre i prodotti siciliani sono gravati di balzelli e possono essere esportati solo nella parte continentale delle Due Sicilie. Un fatto positivo riesce a vederlo nell’esistenza dei molti caricatori per il grano (Termini Imerese, Sciacca, Licata, Marsala, Gela‑Terranova, Cefalù e Milazzo) che viene condotto all’ammasso prima di essere spedito in altri paesi, dopo avere ottenuto l’autorizzazione del Tribunale del Real Patrimonio.
Questo organismo tiene conto del prodotto annuo e della possibilità o meno dell’esportazione per cercare di avere sempre una quantità di grano sufficiente durante le ricorrenti carestie. Swinburne viene colpito pure da una delle poche industrie sparse su quasi tutto il territorio siciliano: quella della seta, la cui esportazione rende annualmente un milione di ducati, con 900 telai a Palermo, 1200 a Messina e 1400 a Catania, città che all’epoca deteneva no il monopolio della seta, poi allarga to anche ad Acireale, con un prodotto di media qualità esportato in parec chie città del Mediterraneo (Cfr. S.Laudani ‘1a Sicilia della seta” 1996).
Girando poi per le varie città dell’Isola e alloggiando presso ricchi privati, lo Swinburne si rese conto della calda ospitalità e cortesia dei Siciliani, anche di diversa estrazione sociale e pure di quelle che erano le consuetudini dei centri visitati. Un fatto che lo meravi gliò non poco fu la spigliatezza e la socievolezza di molte donne, spesso mogli di gente in vista, che riuscivano a tenere bene la conversazione nelle cene a cui era spesso invitato. Ciò contraddiceva quanto affermato in genere da altri viaggiatori che si erano soffermati particolarmente sulla gelosia dei mariti siciliani.
A Sciacca lo Swinburne scoprì la cucina siciliana, a quel tempo molto ricca di zucchero e spezie e l’affabilità dei signori che lo accoglievano di volta in volta. Passando da Ribera fu ospitato da una vecchia baronessa che, insieme a figlio e nuora, si premurò di rendergli la cena e poi il pernottamento adeguati al suo rango: infatti la stanza messagli a disposizione comprendeva il pavi mento di mattonelle smaltate, i mobili in stile e alquanto ricercati, le pareti decorate di stucchi e con grandi e magnifici specchi veneziani la cui presenza in quel lontano paese lo stupì alquanto.
Da Ribera, dopo un viaggio difficile a causa di una pioggia insistente, il viaggiatore inglese giunse a Caltagirone, città che esternamente non gli piacque molto. Ma poco dopo dovette ricredersi suo malgrado: i calatini si dimostrarono molto cortesi, mondani e raffinati. Lo colpì moltissimo l’usanza del passeggio serale (lo “struscio”), nelle piazze, l’atto tipicamente meridionale.
Il suo viaggio nell’Isola si concluse, il 27 gennaio 1778, in pieno inverno. Non fu molto lungo ma fu vario e si svolse interamente a cavallo in quasi tutti i territori interni, con qualche puntata nei centri costieri, ben descritti poi nelle sue memorie. Lo Swinburne fu più interessato alla vita dei piccoli centri piuttosto che a quella della capitale, dove abbiamo visto fu accolto, e non certo per colpa sua, con eviden te freddezza ed anche fastidio. Le sue descrizioni sono frutto di una osserva zione attenta dei fatti esterni, non certo originata da teorie filosofiche.
Non fu dotato certamente di molta immaginazione e neppure di prontez za di spirito al contrario del Brydone. Non amò molto la storia antica ma seppe raccontare adeguatamente i fatti accadutigli e con i quali venne a contatto. Fu molto concreto nelle sue ampie descrizioni.
In conclusione, un viaggiatore in perfetta antitesi con il Brydone: spiritoso, a volte buffonesco, immagi nario e superficiale il secondo, quanto serio, concreto, razionale e dotato di self control lo Swinburne. Due personalità diverse ma certamente interessanti tra tutti quelli che alla fine di quel secolo optarono per difficili viaggi in terre per loro scono sciute, quali potevano essere le regioni dell’Italia del Sud, allora scoperte dalle grandi correnti di viaggiatori europei permeate di spirito cosmopolita, a sua volta figlio del pensiero illuminista.