A Palermo si contarono ben 8.000 espositori, a fronte dei 7.000 registrati, dieci anni prima, in occasione dell’Esposizione Nazionale di Milano. Tra gli spazi espositivi della rassegna palermitana non si rilevò privo d’interesse quello riservato alla Mostra Etnografica Siciliana, ordinata dal medico palermitano Giuseppe Pitrè, il più autorevole studioso italiano del folklore e delle tradizioni del popolo. Tra coloro che, nel novembre 1891, inviarono reperti etnografici al Comitato organizzatore della Mostra si rilevò degno di particolare menzione un certo Lo Cascio Mangano di Chiusa Sclafani, esponente di «una delle famiglie più facoltose del paese»: parola di Mario Liberto, autore del libro, presidente della nostra delegazione siciliana. La «gentile mediazione» dell’agiato galantuomo – fece sì che la Mostra Etnografica potesse esporre un maestoso pane di San Giuseppe dal peso di 12 kg e il diametro di un metro e mezzo, tipico Vucciddatu votivo (confezionato a gloria del “Padre della Provvidenza” dalle donne di Chiusa Sclafani), «pane di semola in forma di ciambella così grande che per mettersi in forno esige lo allargamento della bocca di questo»; ed inoltre 32 pani di San Giuseppe di Chiusa Sclafani. Centinaia di migliaia di visitatori dell’Esposizione Nazionale di Palermo, provenienti da ogni parte d’Italia, e persino dall’estero hanno potuto ammirare i curiosi pani votivi del Patriarca, frutto della fabbrilità creativa delle sue compaesane: cose, insomma, che conferivano all’evento palermitano una nota di colore non meno esotica, forse, di quella suscitata dalla presenza dei tucul e dei tamburi africani nella contigua Mostra Abissina, o Plaza de toros. I pani votivi non erano, infatti, solo beni alimentari:
2010-10-13