Nel luglio di sessanta anni fa, nel 1954, Alan Lomax (1915 – 2002), già prestigioso ricercatore e studioso di canti popolari, giungeva, dall’America, in Sicilia, per effettuare una serie di registrazioni: dei canti, dei versi, dei suoni e delle preghiere dei pescatori, dei contadini, dei minatori, insomma delle fonti orali e popolari siciliane più antiche e genuine. Il materiale che Lomax raccolse in quel tour, diede vita alla prima grande e significativa raccolta scientifica del patrimonio etno-musicale isolano. In quell’esperienza di ricerca sul campo, Lomax ebbe la compagnia e la guida del musicologo Diego Carpitella, un grande raccoglitore di storie, usanze e canti siciliani, e scoprì, girando l’isola in lungo e in largo, un ricchissimo tesoro di parole e melodie, nate spontaneamente dagli affanni, dal lavoro, dai bisogni e dai desideri della gente della Sicilia.
Di quella Sicilia di più di mezzo secolo fa – che lo incantò per i suoi paesaggi, per le tecniche antiche e sapienti dei lavori e dei mestieri artigianali, per la vita umile e certo povera che vi si conduceva, ma sana, socievole e solidale – Lomax appuntò, su di un quaderno, sul quale come titolo appose la scritta Sicily, quel che si legge, nella prima e ampia parte, di un libro pubblicato qualche anno fa, meritoriamente, da Il Saggiatore, con l’ eloquente titolo ‘L’anno più felice della mia vita’. Libro che, curato dalla figlia di Lomax e introdotto da Martin Scorsese, contiene note dense e poetiche che cominciano col descrivere e spiegare la pesca del tonno nelle Isole Egadi; per proseguire, poi, con l’illustrare l’ attività delle saline di Trapani, ‘la città che è come una forchetta che si protende sul mare’ e dove i salinai intonano ‘una canzone dell’ industria più antica, quella del sale’, che è un lamentu, ‘un lamentu di selvaggia malinconia, giunto dall’epoca della schiavitù nel Mediterraneo’.
E mentre registra su magnetofono quanto di meglio e di più caratteristico riesce ad ascoltare della cultura orale siciliana, Lomax si appassiona a scrivere di ciò che osserva e incontra: documenta così l’attività dei cantastorie, di Roberto Genovese a Palermo (che racconta la storia di Orlando e di Rinaldo, ogni pomeriggio in un parco pieno di palme, ad un pubblico che è ‘il più povero e peggio pagante d’Italia’ e ‘che gli fa cadere 5 o 10 lire nelle sue mani chiuse a coppe’) e di Orazio Strano, a Riposto, che ‘vive in una stanza dipinta di rosa con disegni di fiori dorati, è sposato con cinque figli, non ha pensione ‘ ed è costretto, a causa di una paralisi, ad esibirsi in piazza e per le vie con i suoi coloratissimi cartelloni illustrati, solo d’estate poichè ‘non può andare fuori casa durante l’inverno perchè il freddo lo fa stare male’; racconta del regista Vittorio De Seta che gli chiede di poter utilizzare una sua registrazione per un film-documentario, che sta girando, sulla pesca del pescespada nello stretto di Messina; riporta le impressioni e osservazioni maturate durante le sue sedute di lavoro con i mietitori di Sommatino; con le raccoglitrici di mandorle di Avola; con gli zampognari di Maletto; con i braccianti di Caltanissetta; con i cantori di stornelli di Mirto (‘le registrazioni vennero effettuate nel polveroso e una volta bellissimo giardino della famiglia nobile del luogo’) ; con una madre, che accudisce il suo neonato in un’ improvvisata culla di una masseria di Nicosia, che canta una ninna nanna, con un un tono lento e una melodia ‘piena di un’ineffabile tristezza’.
Incontra inoltre Sindaci e folle di paese incuriosite e attratte dalla presenza di un americano che vuole registrare i loro canti in cambio di un compenso; compenso che Lomax elargisce volentieri e generosamente ai cantori siculi, al punto da rimanere amereggiato per l’unico che glielo rifiuta: ‘ un cantastorie che, nel messinese, risaliva una collina con la bicicletta, la chitarra sulle spalle, un tipo che sembrava davvero stanco’. ‘Lo fermai’ – ricorda Lomax – ‘per parlare, ma il mio italiano era così cattivo e io avevo un aspetto così terribile che si rifiutò di parlarmi e si rimise a pedalare. Il solo cantante di strada, per la cronaca, che abbia rifiutato dei soldi’. Soldi di Lomax che vanno anche a piccoli prepotenti e boss che spradoneggiano nei centri dell’interno dell’isola: nel suo taccuino, in un foglio dove lo studioso annota le sue spese, vengono registrate le uscite di 1500 lire ‘per disturbatore’ e 1000 lire per ‘maffia’. Il diario del viaggio di Lomax, oltrechè di testi, è fatto di tante foto scattate lungo il suo itinerario, che fissano su pellicola la Sicilia degli anni cinquanta, ancora rurale e premoderna ma con un ambiente e un paesaggio agrario vivo e popolato, con usi solidali e costumi caratteristici, con case di spontanea e bella architettura, con volti scavati dal lavoro e dalla fatica: un pezzo di realtà, ormai scomparsa, che le immagini fotografiche di Lomax hanno riprodotto e che la pubblicazione delle sue memorie, efficacemente, ci restituisce per esserci utili oggi a comprendere il passato, e per restare nel tempo, a futura memoria.