10 febbraio, Giornata mondiale dei legumi: perché fanno bene alla salute, all’economia e all’ambiente

PROTEINE: LA PREOCCUPAZIONE DELLA FAO 

I legumi, insieme ai cereali, sono gli alimenti che da sempre hanno garantito la vita dell’uomo sulla terra. Lo sanno bene gli agricoltori, e non solo, che li hanno costantemente seminati, sia come mezzo di sostentamento, sia per assicurare la produttività delle loro coltivazioni. Infatti, le leguminose sono considerate piante miglioratrici o preparatrici della fertilità del terreno agrario. Viceversa, i cereali, che seguono queste ultime coltivazioni, sono ritenute piante sfruttatrici, cioè che utilizzano le sostanze accumulate dalle leguminose. Questa alternanza è da sempre chiamata “rotazione agraria”, strategia per evitare l’accumulo di residui tossici dovuti alla monocoltura che procura fenomeni di “stanchezza” al terreno.

Nei Paesi in via di sviluppo, così come in quelli economicamente più ricchi, le leguminose, grazie al loro alto valore nutritivo, assolvono al compito, nei primi di combattere la malnutrizione, mentre nei secondi, di sostituire l’eccessivo cibo calorico ingerito irresponsabilmente e causa dell’obesità.

In riconoscenza di questa preziosità, l’Onu ha decretato il 2016 anno internazionale dei legumi. Una scelta fatta per dare il giusto valore a questo alimento sostenibile per l’ambiente e alla base di tutte le diete delle popolazioni più longeve del mondo.

Ceci, arachidi, cicerchie, fagioli, fave, lenticchie, lupini, piselli, soia, grazie alla esigua presenza di grassi sono una buona fonte di proteine vegetali, da considerare anche il contenuto di fibre che, abbinate ai cereali, raggiungono una composizione di aminoacidi essenziali paragonabile a quella della carne. 

Con lo slogan “Semi nutrienti per un futuro sostenibile”, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dichiarare il 2016 “Anno internazionale dei legumi” ha voluto fare opera di sensibilizzazione e aumentare la conoscenza e i vantaggi dei legumi, incrementandone la produzione e il commercio e incoraggiando nuovi utilizzi.

Per il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, “I legumi sono importanti coltivazioni per la sicurezza alimentare di una grande percentuale della popolazione mondiale, in particolare in America Latina, in Africa e in Asia, dove sono parte delle diete tradizionali e spesso coltivati dai piccoli agricoltori. Per secoli sono stati una parte essenziale delle diete umane, tuttavia, il loro valore nutrizionale non viene generalmente riconosciuto ed è spesso sottovalutato”. Ed ancora: “I legumi possono contribuire in modo significativo ad affrontare la fame, la sicurezza alimentare, la malnutrizione, le sfide ambientali e la salute umana”, ha affermato, a sua volta, il Segretario Generale dell’ONU, Ban Kimoon, in una dichiarazione letta a suo nome alla cerimonia d’apertura dell’anno dei legumi.

Dell’importanza dei legumi è anche consapevole Papa Francesco il quale, durante il suo incontro di qualche anno addietro con i fedeli della favelas di Vargigha, ha detto: “Quando qualcuno che ha bisogno di mangiare bussa alla vostra porta, voi trovate sempre il modo di condividere il cibo, come dice il proverbio – si può sempre aggiungere acqua ai fagioli – sempre, sempre”. 

Per promuoverne il consumo, la FAO ha raccolto sul suo sito ben 850 ricette da tutto il mondo con i legumi: dal Githeri del Kenya alle Tamalitos a la Inflacion del Costa Rica, dal Bhuna Kichuri del Bangladesh al Dal indiano, dall’Eretensoep olandese al Chourbat al-bourghol algerino, ecc.

Con lo slogan “Semi nutrienti per un futuro sostenibile” le Nazioni Unite, quindi, fanno un passo decisivo verso un messaggio chiaro: “La produzione di proteine animali per tutto il mondo, compreso quello in via di sviluppo, non è più sostenibile e la situazione potrebbe decisamente peggiorare in futuro. I dati parlano chiaro: se anche i paesi emergenti adotteranno gli stili di consumo “carnivoro” dell’Occidente, non ci saranno abbastanza terre emerse per poter allevare animali da reddito, e l’allevamento, come mostrato chiaramente nel documentario Cowspiracy è la prima reale causa di inquinamento mondiale”.

Questo lavoro ha l’obiettivo di recuperare la tradizione italiana dei legumi e il loro contesto rurale provvedendo a valorizzare il loro uso e a non far morire la presenza di queste specie singolari nell’ambito di una riscoperta della biodiversità italiana.

 

LEGUMI: IL FUTURO DELL’UMANITÀ

Si stima che tra qualche decennio la popolazione umana possa arrivare a superare i 10 miliardi di persone. La cosa allarma tutti i governi del mondo perché per sfamare le prossime generazioni occorrerà almeno il 60% di cibo in più. Dove reperire le fonti proteiche per soddisfare la nuova sfida alimentare?

È risaputo che l’aumento del consumo di carne comporta potenziali rischi per la salute e pesanti costi ambientali, poiché i prodotti di origine animale hanno un impatto maggiore sul clima rispetto a quelli vegetali: per produrre un chilo di proteine animali ne servono da tre a dieci di proteine vegetali e si emettono 36,4 chili di anidride carbonica, cui si devono aggiungere i costi legati al trasporto degli animali e alla distribuzione. Inoltre, “I dati della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, rivelano che la produzione di lenticchie o piselli richiede un consumo di 50 litri di acqua per chilo. Al contrario, un chilo di carne di pollo ne richiede 4.325, uno di manzo 13.000. La ridotta impronta idrica rende la produzione di legumi una scelta intelligente nelle zone aride e nelle regioni soggette a siccità”. Ed inoltre: “Per produrre un chilo di carne bovina occorrono infatti ben 16 chili di grano e soia; l’energia consumata per produrla è dieci volte superiore a quella necessaria per produrre proteine vegetali”.

Secondo la Fao, entro il 2050 si passerà dagli attuali 268 a 463 milioni di tonnellate di carne consumata nel mondo, una crescita del 173%, concentrata nei Paesi emergenti. 

Insomma, produrre carne sarà sempre più difficile per i costi ambientali ed economici da sostenere. E allora cosa fare? Una fonte proteica può essere recepita nei circa 1900 insetti commestibili che convivono sulla terra e di cui un numero di popolazione mondiale ne fa uso. 

Gli insetti, con le loro qualità alimentari, sono il passato e il futuro dell’alimentazione. L’autorizzazione dell’Unione Europea all’allevamento e al consumo di insetti indica una strada da percorrere per il futuro e dovremmo iniziare a considerarli una buona alternativa a carne e pesce. Cavallette fritte e larve di ape, grilli saltati e cicale lesse, saranno questi gli alimenti con i quali confrontarci. Basta naturalmente fare ricerca in qualche pagina di storia per ritrovare il filosofo greco Aristotele che scriveva nella sua Historia animalium che le cicale hanno un ottimo sapore, sono uno spuntino di lusso; e Plinio il Vecchio sosteneva che gli antichi Romani consideravano le larve di scarabeo una prelibatezza.

La FAO sostiene che in 112 Nazioni al mondo, soprattutto in Africa, America Latina, Australia, Asia e Pacifico, cioè per circa 2 miliardi di esseri umani, gli insetti di circa 1.900 specie rappresentano una grassa fetta della dieta quotidiana. Ma la sorpresa non finisce qui perché molti ristoranti americani ed europei comprendono nel menù pietanze a base di questa classe di animali.

“L’alternativa alle carni arriva dalle proteine vegetali. In termini di amminoacidi, due scodelle di pasta e fagioli corrispondono a 70 grammi di carne. Ma l’impatto dell’allevamento, rispetto a quello della coltivazione di legumi, in fatto di sostenibilità è completamente diverso, e sbilanciato a favore dei secondi. Peccato però che negli ultimi 15 anni il tasso di crescita della produzione di legumi non abbia saputo tenere il passo con la crescita della popolazione e dei consumi: secondo la FAO, tra il 2000 e il 2014 la popolazione mondiale è aumentata del 19%, mentre la disponibilità di legumi pro-capite è cresciuta solo di 1,6 chili all’anno”.

Per sopperire a questi lunghi ritardi il commissario all’Agricoltura Phil Hogan alla Conferenza di Vienna del mese di novembre del 2018 ha presentato il Piano europeo per lo sviluppo delle proteine vegetali. Quindi la Comunità Europea ha cominciato a dichiarare guerra alla carne e a scegliere la via delle proteine vegetali. Da considerare inoltre che l’Europa è troppo dipendente dalle importazioni di legumi dal resto del mondo, sia quelli destinati all’alimentazione umana sia quelli per i mangimi animali. Ed è quindi necessario aumentarne la produzione interna, per venire incontro alle esigenze dei consumatori di avere un cibo più sostenibile e più salutare.

“Per produrre più legumi servono più ricerca e più supporto tecnico agli agricoltori: i fondi per questo potranno essere presi da Horizon 2020, dal nuovo Horizon e anche dalla Pac”, spiega Silke Boger, uno degli alti funzionari del DG Agriculture inviata in giro per l’Europa. Accompagnata da Confcooperative, in Italia ha incontrato sul campo parecchi addetti ai lavori: “Ho capito che anche nel vostro Paese, per via dell’alto numero di Dop, avete l’interesse a proteggere la qualità dei mangimi animali dalla presenza degli Ogm”. La soia che oggi l’Italia importa per l’alimentazione animale è tutta geneticamente modificata: se venisse incentivata la produzione nazionale di proteine vegetali, le mescole dei mangimi potrebbero essere diverse e guadagnarne in naturalità.

In Europa la classifica dei produttori di legumi vede al primo posto la Francia, con 788.000 tonnellate all’anno. Ma non rappresenta che l’1% delle produzioni mondiali di legumi: al primo posto, nel mondo, c’è l’India, dove viene coltivato oltre il 17% di tutti i legumi. E al secondo posto c’è il Canada, che, negli ultimi anni, ha lanciato un suo piano per lo sviluppo delle proteine vegetali. Decisamente più aggressivo di quello europeo: il governo federale di Ottawa ha messo sul piatto 950 milioni di dollari canadesi in cinque anni per dare vita a un supercluster dei legumi. Un’alleanza fra agricoltori, imprese e centri di ricerca per trasformare una commodity in un prodotto ad alto valore aggiunto: non più il semplice export di ceci e lenticchie, ma la produzione di snack, farine e alimenti complessi con cui invadere i mercati internazionali e conquistare i consumatori consapevoli”.

Secondo la FAO, dal 2000 al 2014, la popolazione mondiale è cresciuta del 19% (da 6 a 7,2 miliardi di persone) e la produzione di legumi è aumentata del 41% (da 55 a 77 milioni di tonnellate), tali incrementi non hanno inciso in modo significativo sulla disponibilità di granella per abitante della terra, che è passata da 9,0 kg/annui del 2000 a 10,6 kg/ annui nel 2014, con un incremento di appena 1,6 kg per persona. Nel 2050, per mantenere lo stesso livello di disponibilità pro-capite, sarà necessario produrre nel mondo 110 milioni di tonnellate di granella. 

I legumi, quindi, sono un’alternativa valida alle più costose proteine di origine animale, e questo li rende ideali per migliorare le diete nelle parti più povere del mondo.

Oggi, nell’epoca in cui la carne è uno dei cibi più consumati nelle nostre case, è necessario riscoprire il valore dei legumi, rivalutarli e inserirli nella dieta quotidiana.

In Italia, nell’ultimo trentennio, le leguminose da granella hanno subito una forte diminuzione, di eccezionale gravità, considerato che non disponiamo di fonti proteiche, animali vivi e carni macellate, così come di granella di proteaginose e relativi derivati per l’alimentazione, sia degli uomini, sia degli animali.

Tra le cause che hanno determinato il loro assottigliamento di consumo vanno ascritte il cambiamento delle abitudini alimentari che ha favorito la diffusione di coltivazioni di poche varietà di legumi, adatte all’industria (pisello e fagiolo per consumo fresco, o come prodotti di IV gamma) con conseguente contrazione della variabilità genetica; la mancanza di meccanizzazione delle produzioni, la scomparsa di equini, che della fava erano i maggiori utilizzatori; la riduzione dei consumi per il miglioramento del tenore di vita degli italiani, che ha consentito il ricorso ad alimenti stimati più “nobili”; la tradizionale reputazione di “carne dei poveri”, ma anche le oggettive difficoltà opposte dalla necessariamente lunga cottura, incompatibile con le esigenze delle famiglie moderne le cui donne lavorano quasi tutte e naturalmente i costi di produzione elevati favorendo nei paesi industrializzati l’abbandono delle coltivazioni.

“Le motivazioni addotte non sembrano tuttavia sufficienti a spiegare integralmente quanto si è verificato a carico delle leguminose da granella per diverse ragioni: perché nessun aumento delle rese e nessuna meccanizzazione potevano verificarsi in assenza di qualsiasi miglioramento genetico ed agronomico, cui la ricerca in Italia non ha rivolto quasi alcuna attenzione; perché siamo, frattanto, diventati importatori di notevole significato di granella di leguminose per uso alimentare; perché siamo diventati anche cospicui importatori di soia per l’alimentazione del bestiame, cui la fava avrebbe potuto, in sia modesta misura far fronte”. 

Nella situazione attuale, una oculata ripresa della coltivazione di queste leguminose appare auspicabile a fini diversi: per aumentare la fonte per l’estrazione industriale di proteine, di cui si accusa un crescente bisogno; per incrementare l’impiego nell’alimentazione umana, nel quadro di una rinnovata dietetica, sia direttamente che mediante preparazione di precucinati o di prodotti iperproteici (IV Gamma e oltre); per l’alimentazione animale; per quelle aree interne del Mezzogiorno che non hanno alternative colturali più valide; per un incremento di colture da rinnovo azotofissatrici, in considerazione del progressivo aumento dei costi dei prodotti chimici. Infine, l’uso dei legumi come colture di copertura, nei sistemi di colture consociate, cioè piantandoli tra altre coltivazioni o come parte di sistemi di rotazione, può ridurre l’erosione del suolo e contribuire a controllare infestazioni e malattie, riducendo l’utilizzo di pesticidi chimici in agricoltura. La coltivazione di leguminose migliora la fertilità del suolo e favorisce la biodiversità.

Per favorire lo sviluppo di diverse specie ed ecotipi, alcune delle quali, come la fava e la cicerchia, anche in territori aridi come le isole, è possibile la loro coltivazione quale fonte di azoto dei terreni in sostituzione delle concimazioni azotate chimiche.

Nell’ultimo decennio, grazie alla riscoperta della Dieta Mediterranea, l’uso dei legumi secchi è andato sempre più ritrovando nuovi estimatori che hanno riscoperto il ruolo più importante nella dieta dei paesi industrializzati, anche perché le loro proprietà sono state riconosciute pienamente in linea con le attuali raccomandazioni dei nutrizionisti.

Anche nei paesi in via di sviluppo, questi alimenti, che hanno rappresentato da sempre la base dell’alimentazione per gli adulti, vengono attualmente raccomandati dalle organizzazioni internazionali (FAO, OMS) anche per l’alimentazione infantile.

Tutti questi fattori hanno rinnovato l’interesse per la coltivazione dei legumi in molte zone; in particolare, nel bacino del Mediterraneo sono stati avviati progetti agronomici e di miglioramento genetico per una crescita quantitativa e qualitativa delle leguminose da granella, alimenti vecchi, ma attuali, come il mondo.

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