Qui di seguito vi proponiamo una elegante e suggestiva descrizione di Trapani nell’800, dei suoi dintorni e l’emozionata sintesi della mattanza dei tonni propostaci da un viaggiatore straniero in Sicilia, Daniele Simond. “Il medio-evo cristiano si è vittoriosamente installato sulla vetta del monte Erice, ma le città della pianura, Trapani e Marsala, geograficamente le più occidentali della Sicilia, sembrano la più durevole impronta dell’Oriente. L’Africa e il capo Bono, che proteggevano il porto di Cartagine, distano meno di 150 km da Marsala e dal capo Boeo.
Quando Messina, Catania e Siracusa erano greche, Drepano e Lilibeo erano puniche per diventare più tardi e a lungo, la residenza degli arabi. Ovunque non vi sono che case bianche, quadrate, con terrazze, che d’estate sembrano prostrarsi nel calore torrido. Si mangia in tutte queste regioni una specie di cuscuso, innaffiato da vino d’Alcamo.
Gli Spagnoli hanno dato molta importanza a Trapani, in quanto il porto era il più vicino alle loro coste.
Furono essi ad importare il barocco, lo testimoniano numerose facciate di questo stile e gli stessi presepi di corallo e avorio che costituiscono la curiosità del museo Pepoli, dove si trovano gruppi scolpiti in legno, rivestiti di tela incollata e dipinta, raffiguranti, quasi al naturale, le principali scene della Passione.
Questi gruppi vengono portati per le strade nella processione del Venerdì Santo. Trapani non è una vera e propria città d’arte, tuttavia offre attrattive interessanti come la facciata e il delicato rosone della chiesa di Sant’Agostino (stile chiaramontano del XIV secolo), la Madonna di Trapani, gruppo a mio avviso troppo delicato, scolpito alla fine del XIII secolo, attribuito alla scuola pisana e posto in una cappella della chiesa dell’Annunciata.
Ma soprattutto in questa città ed in questo porto si respira qualcosa di strano, dovuto senza dubbio, alla coesistenza di elementi italiani, arabi e spagnoli, come alla natura, le cui principali risorse, sono: il vino, il tonno e il corallo. Tutte queste industrie sono nelle mani di alcune famiglie ricchissime. La pesca del tonno, che è stagionale, obbedisce a delle tradizioni tipicamente meridionali, in cui la superstizione si mescola alla crudeltà, la preghiera al sangue: la selvaggia mattanza dei tonni. Quando all’epoca dell’amore, i banchi di tonni si accostano alla riva, i pescatori li scortano fino alla tonnara, labirinto di reti che sbarra loro la strada e che può estendersi per dei chilometri quadrati. Poi un giorno il rais (dall’arabo ras) cioè il capo della pesca, fa sbattere da una rete all’altra i grossi pesci lucenti e timidi. I tonni si inoltrano in una specie di corridoio, che serve quasi da anticamera, da ciò la definizione di camera della morte”.
Quando tutto è all’ordine, i pescatori intonano una preghiera di rito e chiedono alla Provvidenza una pesca fruttuosa e non troppo faticosa. Dal battello da dove ordina le manovre, il rais leva allora le mani al cielo con un gesto sacerdotale gridando “molla, aia, molla” qualcosa come “a morte il moro, il nemico!”.
Il grido selvaggio è ripetuto da tutti gli astanti. Viene tirata la rete che chiude l’ingresso della camera della morte. I tonni atterriti vi si precipitano dentro. La porta si chiude dietro di loro, le barche circondano la rete fatale la quale viene portata alla superficie. Un canto quasi liturgico ritma dal principio alla fine il massacro dei tonni, che attaccati da colpi di arpioni e di uncini si dibattono tragicamente in una tempesta di sangue. Fino al momento in cui, catturata e imbarcata l’ultima vittima, la nave e i canotti da pesca abbandonano alla calma della morte le acque rosseggianti per la carneficina.
Non resta ormai che depositare il bottino negli stabilimenti situati sulla riva. La mattanza è finita, ad essa succede lo squartamento, e le varie altre preparazioni per la conservazione del prodotto.
Le saline occupano parecchi chilometri quadrati a sud di Trapani. Le circondano mulini a vento attorno ai bacini alimentati dall’acqua di mare; il sole e il vento agevolano l’evaporazione trasformano queste lagune in altrettante tovaglie abbaglianti di neve.
Gli operai, a loro volta, ammucchiano il sale in coni cristallini. Tutto questo candore, aggiunto al volo dei gabbiani, alle vele che solcano il vicino mare, al bianco delle case, che in esso si specchiano, dona a Trapani un singolarissimo aspetto”.