Il dietro front sul contenimento dell’uso dei fitofarmaci mostra il vero volto dell’Ue e non favorisce i veri agricoltori. Italia Bio: garantire reddito e dignità alle piccole e medie aziende agricole per un Green Deal senza retorica

Le proteste degli agricoltori sono state ascoltate, ma nessuno, nè a Roma nè a Bruxelles, ne ha compreso le vere motivazioni che sono strutturali. Le proteste esprimono, infatti, il disagio della marginalizzazione economica e della estromissione dal ruolo di custode del territorio.
Non è togliendo i limiti all’uso dei fitofarmaci che l’Ue può risolvere i problemi dell’agricoltura, bisogna piuttosto garantire il reddito degli agricoltori proteggendo il mercato europeo – la più grande area di libero scambio del blocco occidentale con i suoi 474 milioni di abitanti – dalla concorrenza sleale dei Paesi Terzi, operata grazie agli accordi bilaterali in deroga.
«La conversione al biologico del 25% della Sau europea entro il 2030 rimane un obiettivo fondamentale e non derogabile. Anzi è un punto di partenza verso una conversione pressoché totale al biologico del sistema produttivo europeo, previo l’azzeramento dell’uso dei veleni in agricoltura. Ma questo non deve diventare uno strumento di ricatto o di contrattazione tra la politica europea e la produzione agricola», afferma Lillo Alaimo Di Loro, presidente di Italia Bio.
Gran parte della struttura produttiva europea è costituita da aziende di piccole e medie dimensioni. Solo il 7%, infatti supera i 50 ettari. È, pertanto, plausibile pensare che da parte dei veri agricoltori europei prevalga l’interesse ad incentivare un percorso di conversione ecologica  dell’economia e dell’agricoltura, in cui i contadini siano di nuovo protagonisti e le produzioni siano rivolte prevalentemente ai mercati di prossimità e al mercato interno. Solo in questo modo si potrà soddisfare la domanda europea di cibi sani e climaticamente performanti.
«L’impianto del Farm to Fork deve essere rivisto nella direzione del concreto interesse della salute dell’uomo e dell’ambiente, mettendo al bando definitivamente “cibo sintetico”, farina di grilli, Tea (leggi Ogm) ed altre diavolerie», dice Di Loro. «Il rispetto per la tradizione e per la dignità del contadino italiano ed europeo, naturalmente vocato all’agricoltura biologica che era poi quella adottata dappertutto fino all’arrivo dei prodotti di sintesi, – continua il presidente di Italia Bio – è assolutamente incompatibile con ogni tentativo di dimostrare che il cibo che nutre i popoli e li mantiene sani, possa essere prodotto fuori dalle azienda agricola, nei freddi “bioreattori” degli stabilimenti industriali».
Con le recenti aperture ai cibi sintetici, la deroga all’uso del glifosato, il via libera alle Tea e per ultimo, su pressione della piazza, la revoca dell’impegno a contenere l’uso dei fitofarmaci, la politica europea ha definitivamente mostrato il suo vero volto e il disegno di un piano agricolo che guarda ad un orizzonte iper-industriale e tecnologico, governato dalle lobby della chimica, delle biotecnologie e delle royalty sui semi, dove il ruolo dei contadini, custodi dei sistemi ambientali e della civiltà della terra, diventa sempre più marginale.
L’agricoltore europeo viene oggi oppresso da una serie di regole in gran parte parametrate sui grandi complessi agro-industriali, che ben poco hanno a che fare con l’agricoltura e il mondo rurale e che si traducono in  un carico di adempimenti burocratici e di costi di beni e servizi, necessari al processo produttivo, che rendono la gestione della piccola azienda anti-economica incapace di reggere il confronto dell’offerta dei trust multinazionali dell’”industria del cibo”.
La visione di una nuova agricoltura dei popoli europei si dovrebbe semplicemente basare sul ruolo protagonista di quel 93% di aziende piccole e medie dimensioni che con orgoglio gestiscono i 175 milioni di ettari della Sau europea di cui circa 14 milioni già condotti in biologico. Queste aziende, che costituiscono di già la rete rurale più efficiente del pianeta, non avrebbero nessun bisogno delle 350 mila tonnellate di principi attivi di fitofarmaci che ogni anno si consumano in Europa avvelenandone il cibo, tanto meno di buona parte degli 11,2 milioni di tonnellate di concimi chimici, in prevalenza nitrati, venduti in Europa nel 2020. Un valore commerciale che rappresenta sostanzialmente un costo netto per le tasche degli agricoltori, oltre che un grave danno per la biodiversità e per il sistema ecologico da cui un’agricoltura responsabile e sostenibile trae la sua forza. A chi giova, dunque, la chimica in agricoltura? Non certo ai veri agricoltori europei.

Redazione

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