Dopo circa otto anni di lavori di restauro conservativo ritorna al suo splendore la Pubblica Villa di Palermo, primo giardino pubblico della città. La Villa Giulia fu realizzata nel 1778 nel piano di S. Erasmo, appena fuori le mura della città, in prossimità dei bastioni Vega e dello Spasimo, per volere del Senato Palermitano su progetto del sacerdote ed ingegnere senatorio Nicolò Palma. Essa fu intitolata a Giulia D’Avalos, moglie del Vicerè, Principe di Stigliano, Marco Antonio Colonna, il quale contribuì alle spese per la sua realizzazione, anche se dai palermitani fu denominata semplicemente Villa Pubblica oppure Villa del Popolo, talora, anche più comunemente, La Flora di S. Erasmo. Nel 1787, appena nove anni dopo la sua costruzione, Wolfgang Goethe, di passaggio a Palermo durante il suo Italienische Reise, rimane incantato dalla sua bellezza, a cui dedica alcune pagine del suo resoconto: ”Nel giardino pubblico vicino alla marina ho passato ore di quiete soavissima. E’ il luogo più stupendo del mondo. Nonostante la regolarità del suo disegno, ha un che di fatato; risale a pochi anni or sono ma ci trasporta in tempi remoti. Verdi aiuole circondano piante esotiche, spalliere di limoni s’incurvano in eleganti pergolati, alte palizzate di oleandri screziate di mille fiori rossi, simili a garofani, avvincono lo sguardo. Alberi esotici, a me sconosciuti, ancora privi di foglie, probabilmente d’origine tropicale, si espandono in bizzarre ramature. Da un rilievo in fondo al tratto pianeggiante la vista abbraccia un incredibile groviglio di vegetazione (…). Ma ciò che dava all’insieme un fascino eccezionale era un’intensa vaporosità che si stendeva uniforme su ogni cosa (…). Quale fantastico aspetto conferisca tale nebulosità agli oggetti lontani, alle navi, ai promontori, è cosa che colpisce un occhio pittorico (…). Ma il ricordo di quel
giardino incantato m’era rimasto troppo impresso nell’animo: le onde nerastre a nord dell’orizzonte, il loro accavallarsi nelle sinuosità del golfo, perfino l’odore caratteristico dell’evaporazione marina, tutto richiamava ai sensi e alla memoria l’isola beata dei Feaci.” La descrizione continua qualche giorno più tardi: “Stamani andai al giardino pubblico (…). Molte piante, ch’ero abituato a vedere in cassette o in vasi, o addirittura chiuse dietro i vetri d’una serra per la maggior parte dell’anno, crescono qui felici sotto il libero cielo (…). Di fronte a tante forme nuove o rinnovate si ridestò in me la vecchia idea fissa se non sia possibile scoprire fra quell’abbondanza la pianta originaria – Urpflanze -. E’ impossibile che non esista! Come riconoscerei altrimenti che questa o quella forma è una pianta, se non corrispondessero tutte a un unico modello?”. Goethe, quindi, rimane colpito dall’esotico e sfarzoso impianto vegetale, dal “groviglio di vegetazione” che si sviluppa sulle geometrie regolari dell’impianto del giardino. Un po’ la stessa impressione che se ne ricava oggi visitando il giardino. Esso, infatti, in adesione alla produzione architettonica dell’epoca, di influsso illuminista, memore anche dei principi dei giardini ”all’italiana” e “alla francese”, si basa sul razionale gioco di geometrie scaturenti dal quadrato. La sua pianta perfettamente quadrata, infatti, è ripartita da quattro viali ortogonali, in corrispondenza dei suoi assi, e quattro viali diagonali, che s’intersecano tutti nella piazza circolare centrale. Un altro quadrato è inscritto al suo interno ma ruotato di 45°, in modo tale che i suoi vertici corrispondono ad altrettanti eventi architettonici: i due ingressi, il laghetto e un grandioso gruppo scultoreo raffigurante il Genio di Palermo, opera di Ignazio e Lorenzo Marabitti (1778-1784). All’interno, infine, di quest’ultimo quadrato è inscritto un viale circolare concentrico alla piazza centrale. L’incrocio dei viali diagonali con i due quadrati delimita otto parterre triangolari al cui interno si trovano delle fontane, originariamente con giochi d’acqua scaturenti da elementi scultorei. Un discorso a parte, invece, riguarda l’apparato vegetale. Infatti, la testimonianza di Goethe contraddice un po’ l’idea del giardino che scaturisce osservando un’incisione delineata dal pittore olandese Guglielmo Fortuyn (1779), conservata presso la Biblioteca Comunale di Palermo, la quale raffigura il giardino un anno dopo la sua inaugurazione. La stampa, infatti, mostra la villa con le sue geometrie, priva di muretti e della cancellata di recinzione, i suoi limiti erano dati solo da cortine di alberi. Tutti i viali rettilinei erano delimitati ai lati da berceaux di aranci amari o di limoni, di cui rimangono ancora oggi i grigliati di ingresso sulla piazza centrale, tali da realizzare dei veri e propri percorsi d’ombra, come descritto anche dal Marchese di Villabianca: “…vi si cammina per otto grandi stradoni ed altri sedici più ristretti (…) Le cerchiate inoltre di melangoli (arancio amaro), i bossi (…) unitamente alli lunghi bersò di sciarniglie, che son come a dire camere d’ombra, ci fan godere vieppiù le bellezze di questo sì fatto delizioso luogo…”. Ma contrariamente al “groviglio di vegetazione” di Goethe, nella stampa tutto contribuisce al rigore dell’impianto, in cui anche la vegetazione sembra preordinata al gioco della geometria. I bordi, infatti, del viale circolare inscritto all’interno del quadrato più piccolo sono delimitati da un doppio filare di alberi che “tagliano” i berceaux dei viali retti. Questi ultimi costituiscono come dei recinti delimitanti i parterre, i quali appaiono decorati “alla francese”, con fiori e siepi basse en broderie, contrariamente a come apparivano al tempo di Goethe e di come appaiono oggi, ossia come dei piccoli boschetti, ora di cipressi, ora di robinie,oppure pini o palme delle Canarie. A prescindere dall’incerta configurazione originaria delle architetture vegetali, oggi la villa ospita comunque una rigogliosa vegetazione mediterranea, anche se frutto di introduzioni spesso improprie, complice probabilmente la presenza dell’adiacente Orto botanico, come per i maestosi Ficus magnolioides, che hanno invaso con la loro mole quasi per intero alcuni parterre. La Duranta plumieri, per esempio, ha sostituito quasi interamente il Bosso, quasi scomparso, nelle bordure. Fanno invece bella mostra di sé i due filari di Washingtonie che delimitano il viale d’ingresso da Via Lincoln, mentre negli altri viali predominano filari di Ficus microcarpa e Lecci ed in quello circolare i Cercis siliquastrum. Al centro la vegetazione si dirada lasciando il campo a Pini, Cycas revoluta ed Araucarie. Fra le specie vegetali più rappresentative troviamo il Ficus elastica, l’Acero, l’Agave, la Yucca, l’Oleandro, il Papiro, l’Acacia horrida, il Pittosporo e il Platano. I lavori di restauro hanno interessato per intero esclusivamente il patrimonio architettonico, che nel corso dei suoi due secoli di vita si è realizzato all’interno del giardino. Essi hanno riguardato in particolar modo le quattro esedre ottocentesche in stile pompeiano (1866-1868), progettate dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda, poste sulla piazza centrale, le quali sono diventate l’emblema stesso del giardino. I lavori hanno riguardato la soluzione dei problemi di umidità da risalita nelle murature, per poi procedere al restauro, ed in qualche caso all’integrazione, dell’apparato iconografico ispirato alle figurazioni ed ai colori pompeiani. Altro restauro di un certo rilievo è stato l’intervento sul Coffee House, progettato da allievi dell’arch. Venanzio Marvuglia. Esso è costituito da un ambiente di forma circolare, delimitato da due scale laterali che conducono alla terrazza-belvedere soprastante, e da un imponente portico dorico-siculo prospiciente il giardino. I restauri hanno comportato un significativo consolidamento statico, soprattutto della volta che regge la pavimentazione della terrazza, nonché della sistemazione di tutti gli ambienti interni in vista di una sua rifunzionalizzazione come bar e punto di ristoro a servizio della villa.
Anche l’intero Sepolcreto dei Siciliani illustri, un insieme di sei cippi commemorativi posti all’interno di un parterre tra un boschetto di cipressi, è stato oggetto di restauro. I monumenti celebrativi sono dedicati ad Archimede, Empedocle, Diodoro Siculo, Teocrito e Junio Calpurnio, mentre rimane sconosciuto il personaggio a cui è dedicato il sesto cippo, privo di intitolazione. I restauri hanno interessato, inoltre, la pavimentazione dei viali, dove si è ripristinata la tufina (pavimentazione a base di polvere di calcarenite compattata e stabilizzata), i lampioni dell’illuminazione in ghisa e la cancellata di recinzione. In anni precedenti si era già provveduto al restauro dell’ingresso monumentale sul Foro Umberto I e dell’ingresso su Via Lincoln. Completano i lavori: il restauro del cospicuo parco statuario, le vasche d’acqua, nonché il restauro della fontana centrale con la statua dell’Atlante, opera di Ignazio Marabutti (1784) che regge un dodecaedro in marmo, il quale costituisce un orologio solare, opera del sacerdote e matematico Lorenzo Federici.