Scrittori italiani in viaggio nella Sicilia degli anni ’50


Mostrare la Sicilia che si avviava verso la modernizzazione dell’economia e il progresso sociale fu l’obiettivo del numero speciale del Natale 1952 de L’Illustrazione Italiana interamente dedicato all’isola e fatto in ampia parte di reportage di scrittori italiani che l’avevano in quell’anno visitata.

La copertina del prestigioso e diffuso mensile ritraeva gli operai dei cantieri navali di Palermo impegnati a lavorare alla costruzione di un bacino galleggiante e i servizi della rivista si aprivano all’insegna dell’ottimismo, con un editoriale affidato a Luigi Sturzo, che veniva titolato Rinascita siciliana e che decantava l’avvio di un processo di industrializzazione nell’isola, accompagnato da un piano di riforma economica e dall’istituzione della scuola professionale che avrebbe creato tecnici e operai specializzati per le moderne aziende e piccole imprese che stavano nascendo, sostenute dalla Regione. Poi, nei successivi articoli, viene dipinto un mosaico variopinto, problematico ma positivo delle diverse realtà dell’isola: il romanziere catanese Ercole Patti, racconta di uno dei suoi tanti rientri nell’isola, dalla Capitale, e descrive il breve passaggio in traghetto, da Punta San Giovanni a Messina, con il ‘curioso odore di Oriente’ che si respira nei sottopassaggi dell’imbarcazione affollati di gente (‘donne con grandi ceste di frutta, di verdura, sacchetti, canestri, involti, panieri’), tutta intenta ad un effervescente commercio; poi, incantato dal mare azzurro e dalle verdi campagne che sono il paesaggio che ‘deliziano il passeggero che in treno prosegue per Catania’, lo scrittore, celebre per i suoi romanzi dalle trame siciliane e sensuali, informa sull’importante introito che all’economia dell’isola stanno procurando i rinomati centri turistici di Taormina e Acitrezza.

Qualche pagina dopo, Carlo Levi dà conto del suo viaggio ‘attorno all’Etna’: è uno dei pezzi che verrà poi raccolto nel famoso volume Le parole sono pietre: e Levi racconta del vulcano e delle sue eruzioni, con gli effetti disastrosi che hanno avuto per le terre e i paesi colpiti dalla lava e per i loro abitanti che sembrano avere con il maestoso e terribile monte un rapporto di odio e amore. E se chiara emerge, nello scritto di Levi, la condizione dei paesi etnei e interni dell’isola, caratterizzata in buona parte dal feudo e dalla sua angusta economia, le foto che accompagnano l’articolo, scattate dallo stesso Levi, ritraggono una ridente e speranzosa Sicilia di vendemmiatori (di Linguaglossa) alle prese con ‘una lieta colazione durante la sosta di mezzogiorno’; di contadini (di Mascalucia) che per divertirsi ‘duellano con i bastoni’; di bambini che giocano (a Milo) in un campo di calcio e che dimostrano che ‘la passione per gli dei della domenica è arrivata in ogni parte del paese’. Proseguendo nei reportage, di Catania, Alfredo Mezio fa emergere i tratti del gallismo brancatiano descrivendo luoghi e personaggi della centralissima via Etnea, ‘la via dei dandy’ e Giovanni Comisso celebra ‘i templi e le vestigia greche’ recandosi da Agrigento a Siracusa e da Selinunte a Segesta per ammirare e scrivere dei templi e dei teatri, della loro maestosità e bellezza, immersi in un Sicilia dorata nei campi e dal travolgente azzurro del cielo.

E se la Sicilia pare isola del sole e degli affari, anche ‘I siciliani di New York’ di cui tratta in un altro articolo della rivista, Giuseppe Prezzolini, hanno fatto fortuna: ‘si recano con lussuose macchine nei loro ‘social club’ di emigranti, hanno conquistato importanti cariche pubbliche e anche fama, come l’oculista La Rocca, uno di migliori della città o lo scrittore Jerry Mangione, autore di romanzi che parlano della Sicilia e dell’emigrazione, molto letti e apprezzati in America.

Ancora, le pagine dell’Illustrazione Italiana davano dell’isola ragguagli sulle belle artistiche, presentando i tesori artistici di Monreale e la preziosità delle numerose statue, delle Madonne e dei santi, portate in processione nelle sontuose feste siciliane; infine documentava i risultati positivi raggiunti nelle tecniche di lavorazione agricola (prendendo a modello la conduzione moderna dell’antica masseria del barone siracusano Morso) e nella produzione della giovane industria siciliana (con un articolo di Italo Pietra).

Quel quadro dell’isola tracciato dalla rivista assume però tratti diversi, nelle pagine di altri scrittori, sempre attratti dal fascino della Sicilia, dai paesaggi, dai monumenti ma preoccupati e critici per le sue condizioni sociali. Lo stesso anno, era stata in Sicilia Sibilla Aleramo: l’autrice di Una donna, aveva raccontato le sue impressioni di viaggio in un’intervista su L’Unità, mostrandosi contenta per aver potuto visitare e recitare le sue poesie ad Agrigento, a Messina, a Catania e a Siracusa (‘in un grande cinema, piantonato per l’occasione da un plotone di celerini’) e sempre davanti ad un pubblico partecipe e addirittura piangente; dicendosi felice per avere incontrato a Bagheria Ignazio Buttitta, ma sconfortata dopo il suo giro per Palermo: ‘rivisti i monumenti, il duomo, la cappella palatina, Monreale, le ville, tutto un superbo passato. Ma un mattino ho voluto visitare almeno uno dei rioni poveri, quello dei Tribunali, detto Kalsa. Ho girato il quartiere atroce per tre ore, vicoli, vicoletti, piazzole. Conosco un poco i bassi di Napoli, conosco le borgate di Roma, non credevo potessero esistere condizioni peggiori, e invece! Nel centro della città, in interrati di pochi metri (talora non più di due metri per quattro) vivono fino a quattordici persone, senza acqua, senza luce, proprio come vermi. C’era il sole quel mattino, stavano fuori, lungo le viuzze, accosciati. I bambini che non muioiono sono di tempra rara. Qualche ragazza appare persino bella. Poco più in là c’era il Palazzo Trabia, cento stanze vuote’.

Qualche anno dopo il poeta Piero Bigongiari visita in un lungo tour l’isola e annota nel suo diario le sensazioni piacevoli che gli suscitano le testimonianze monumentali antiche ma tratteggia anche con decisi rilievi critici le drammatiche condizioni di paesi come Palma di Montechiaro dove ‘le porte delle case che s’affacciano sulla strada lasciano indovinare una tavola in attesa, su cui un lume balzella poverissimo’ e dove ‘la strada non ha fognature: invece che a schiena d’asino, è affossata al centro e i rigagnoli la percorrono, tutta in discesa com’è’, rendendo il senso di una povertà fatta di ‘odore di orina e di una felicità primitiva impastata nella miseria che ha trasformato i volti in maschere impassibili’, di ‘una felicità senza sorriso, piena di ritegno, tutta ritorni e partenze, da comperare come un oggetto, a forza di ardore e di solitari elucubrazioni, come il pane e il poc’altro che ingombra quelle mense’.

E ancora di ‘vicoli pervasi da puzza d’orina’ parla Elio Bartolini nel suo Quadernetto Siciliano pubblicato su Il caffè politico-letterario nel numero del Gennaio 1956, riferendosi alla montana e interna Troina, che gli appare, in stridente contrasto con la sua illustre storia di prima capitale normanna, abitata da gente presa da forzato e ‘cupo ozio’, così come di Catania, Bartolini avverte la profonda differenza tra le vie del centro con le sue eleganti dimori e ‘le case del ghetto, basse, immerse direttamente sulle strade e tappezzate da foglietti di morte (per il mio caro marito, per l’amato padre) che nessuno strappa mai’.

L’entusiasmo che si intravedeva nelle pagine dell’Illustrazione Italiana andava via via sfumando, nella narrazione che dell’Isola, nel corso di quegli anni ’50, andavano facendo altri scrittori-viaggiatori, per i quali l’osannata trasformazione dell’isola in una realtà moderna e industriale era ancora lontana dal prendere forma compiutamente.

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