Sanremo, le canzoni si vestono di “verde”

Primo fu il molleggiato, nel 1966 con il “Ragazzo della via Gluck”, ultima Arisa, l’anno scorso che cantava, nella scia di un apocalittico catastrofismo, “Il sole che può scoppiare”. In mezzo ancora Celentano che nel 71 torna al festival di Sanremo e canta “Un albero di trenta piani”, e poi Vecchioni che l’anno scorso se non canta una canzone filo ecologista almeno si veste a impatto zero.

Quest’anno, l’impegno è nel filone “social” affidato alla musica ed alla voce di Dolcenera, che canta “Ci vediamo a Casa”, una canzone ispirata alla storia dei due i due macchinisti dell’azienda Servirail che sono da due mesi accampati sulla torre faro della Stazione Centrale di Milano per protestare contro il licenziamento di oltre 800 lavoratori avvenuto per l’abolizione dei treni notturni.

Mentre il teatro Ariston diventa “verde” per la prima volta nel 2006, quando fa un accordo con l’Enel per impiegare, per il suo intero fabbisogno di elettricità, energia ”verde” prodotta esclusivamente da fonti rinnovabili, innescando un ciclo virtuoso amico dell’ambiente.

Canzoni e canzonette, poche rimaste altre, la maggior parte, hanno vissuto una sola stagione; qualcuna è stata eletta a simbolo del trash, come “Cara terra mia” con cui l’allora inossidabile coppia Albano-Romina Power partecipò al festival del 1989.

Un pezzo assolutamente imperdibile per gli amanti del genere che partendo da un undicesimo comandamento “non inquinare”, recitava “Il mare sta morendo di dolore. I fiumi di vergogna e impurita’. Quel buco nell’ozono fa rumore. Che cos’altro poi succederà”, interrogativo senza risposta su musica rap accompagnata da un grazioso balletto della giovane Romina.

Una partecipazione sottolineata da Grillo che, ospite del festival, ironizzava sulla vocazione ecologista della coppia. “S’è fatto costruire (Albano) una casa che sembra Los Angeles, c’ha la cucina in Puglia ed il tinello in Abruzzo”.


Nel 1969, se proprio non all’ecologia, ad un precoce cambiamento climatico sembra ispirata “La pioggia” della Cinquetti che, interessata alle previsioni meteo, canticchiava “Sul giornale ho letto che il tempo cambierà, le nuvole son nere in cielo e che i passeri lassù non voleranno più. Chissà perché”, per poi sottolineare, con acerba spensieratezza, “Io non cambio mai, no, non cambio mai. Può cadere il mondo ma ma che importa a me?”

Mille miglia dall’impegno ante litteram del ragazzo della via Gluck che solo tre anni prima si domandava “Quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà non so no so perché continuano a costruire le case e non lasciano l’erba, non lasciano l’erba non lasciano l’erba e non se andiamo avanti così chissà come si farà chissà chissà come si farà”.

Domande senza risposta che Celentano con amara consapevolezza riporta sul palco dell’Ariston cinque anni più tardi con “L’albero di Trenta piani”: “Già sapevano che saremmo ben presto anche noi diventati come loro. Tutti grigi come grattacieli con la faccia di cera con la faccia di cera è la legge di questa atmosfera che sfuggire non puoi fino a quando tu vivi in città”. Potrebbe essere cantata oggi.

Fonte: Adnkronos

Redazione

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