Nato a Mogliano Veneto nel 1914 Giuseppe Berto, l’autore de Il mare oscuro, trascorse buona parte della sua vita, nella maturità e nella vecchiaia, in un paesino della Calabria, a CapoVaticano (dove mori nel 1978 e dove è sepolto), attratto irresistibilmente da un ‘amore per il sud’ che fu in verità un amore per la Sicilia, che amò contemplare sempre, ammirato e assorto, nelle linee delle sue coste, dei suoi monti e nella silhouette dei paesi che scorgeva dalla sua casa calabrese. Il suo attaccamento, intimo e personale, all’Isola, Berto lo confessò in diversi suoi interventi giornalistici che avevano per tema il meridione e i problemi della sua economia e del suo sviluppo e che lo scrittore produsse dalla fine degli anni ’40 ai primi anni ’70, su diverse testate e, nel 2003, raccolti in volume dall’editore Monteleone con titolo Il mare da dove nascono i miti. In un pezzo del ’58, titolato appunto Amore per il sud, Berto, rievocando una sua memoria familiare, scriveva: ‘Tutte le volte che vedeva i pomodori o gli aranci mio padre non poteva trattenersi dal parlare della Sicilia, dove aveva fatto il carabiniere. Il suo racconto non era molto vario, anzi si può dire che fosse sempre lo stesso, ma ciò non toglie che sia la più bella storia che io abbia mai sentito, piena di mistero, di avventura e di magnificenza. Perché mio padre era povero, e allora, per guadagnare venti centesimi di straordinario, andava di notte a far la posta ai briganti sulla salita di Bellolampo, sopra Palermo, e dormiva con un occhio solo, per terra, avvolto nella mantellina, il moschetto stretto nel pugno. Poi, la mattina, col sole, abbastanza contento di essere ancora vivo, scendeva alla città e al mare lontano attraverso la Conca d’Oro, dove gli aranci crescevano sporgendo dai muri di cinta dei giardini, e bastava alzare la mano per cogliere un frutto. Quando più tardi mi imbattei nei versi famosi ‘Conosci tu la terra dove il cedro fiorisce…’, li trovai in complesso piuttosto poveri, perché tutto ciò che avevo da imparare sull’argomento l’avevo già impresso nella mia fantasia infantile di mio padre carabiniere, con la sua storia degli aranci che si potevano prendere alzando la mano. Così dunque è nato il mio amore, nel sangue e nella mente, per il Sud’. Alla percezione di un’atmosfera magica e suggestiva, ispirata dall’esperienza paterna, in Berto si affiancò ben presto la conoscenza diretta dell’isola che rafforzò il suo interesse e la sua curiosità per la solarità mediterranea: ‘L’amore può venire in tanti modi, a me è capitato tanti anni fa’ – scriveva Berto nel gennaio del ’68 – ‘andavo a fare il soldato a Palermo, ero partito dal Veneto, viaggiavo credo da due giorni. La linea ferroviaria, quando arriva verso l’estremità della penisola, non si capisce bene da quale parte vada. In effetti segue i contorni di golfi abbastanza profondi, sicché ora va ad est ed ora ad ovest. Erano i primi di novembre; una stagione in cui al Sud i temporali di mezzo ottobre hanno già lavato l’aria e l’orizzonte sconfina illimitatamente sul mare. Mentre il treno andava apparivano ora da una parte e ora dall’altra le isole sul mare, vere e pur quasi irreali nella loro lontananza, come sollevate sopra il mare’. Prese così Berto, dopo quel periodo trascorso in Sicilia, la decisione di stabilirsi in Calabria, a Capo Vaticano, e di quelle isole, e della sua casa che vi stava di fronte, continuò a scrivere: ‘Ora, conosco tutti i loro nomi: Stromboli, e poi Basiluzzo, Panarea, Salina, Lipari, Vulcano, collocate in quest’ordine distendendosi verso la Sicilia che si spinge loro incontro con la punta di Milazzo. Di solito uno appartiene a due luoghi: quello in cui è nato e quello dove gli piacerebbe vivere. E’uno degli elementi della nostra inquietudine, questo, perché poi accade che se si sta in un luogo si è un po’ infelici di non stare nell’altro. Bene, quella terra da cui si scorgevano quelle magiche isole era la mia seconda terra, e qui sono venuto a vivere. Sto su un promontorio alto sul mare, vi sbattono dei venti selvaggi, conosco tutto il cammino che il sole fa in un anno: il 12 agosto entra nel cratere dello Stromboli, ilo 23 settembre scende dietro a Panarea, il giorno dei morti va giusto dietro la punta più alta di Vulcano, e poi mentre l’inverno si approfondisce e le giornate si fanno sempre più corte a mano a mano la fine del giorno sposta verso la lunga striscia di terra verso il nord, finché quando le notti sono più corte arriva a tramontare la sera tardi nel mare molto più a nord dello Stromboli’. E se nei testi dove parla della sua vita, Berto non spiega perché, pur amando la Sicilia, prese casa in Calabria, è nel romanzo che gli diede notorietà, Il male oscuro, e che è ampiamente autobiografico, che svela le ragioni della sua strana scelta. Sul finale dellacomplicata e problematica storia di tutta una vita, il protagonista del romanzo (alter ego dello scrittore), inscenando un idealecolloquio col padre, dopo la morte del quale è caduto in un’inguaribile nevrosi, considera, dalla sua dimora calabrese: ‘l’isola degli aranci sta dall’altra parte celeste e gialla e un poco verde nella sua breve lontananza, e in mezzo c’è un piccolo tratto di mare proprio piccolo ma non ho il coraggio di passarlo, padre non ho il coraggio, è ancora un po’ di malattia questa paura dell’isola e del mare e penso che guarirò un giorno o l’altro ma per il momento non ci posso andare, e del resto non tutti coloro che volevano la terra promessa poterono giungervi, non tutti furono degni della sua stabile perfezione, e così verso sera cerco un posto da dove si possa guardare la Sicilia’. Un motivo inconscio, un conflitto non risolto nel difficile rapporto col padre portò Berto a doversi accontentare di avere sempre a portata di sguardo l’isola amata, impedendosi di poterla vivere e abitare (pur maturando con la terra calabrese e la sua gente un affetto sentimentale e intenso). E tra Calabria e Sicilia si snoda una storia scritta negli anni ’60 (nel periodo in cui ‘giornalisticamente’ difendeva il sud agitando con passione e impegno i temi della lotta al sottosviluppo) ed è quella del romanzo di fantascienza ‘La fantarca’ (edito da Rizzoli bel ’65 e mai ristampato). Berto, in una ‘una favola per tutti’, racconta della decisione dell’Ufficio Centrale di Statistica del Primo Blocco (il mondo è diviso in due Blocchi, quello dei bianchi e quello dei rossi) di trasferire l’ultimo carico umano (1347 persone) di quel resta dei nove milioni di terroni dell’Italia meridionale già deportati, su Saturno, per risolvere così in maniera definitiva l’annosa e angustiante Questione Meridionale. Dalla Calabria, dove vengono imbarcati su un’astronave, alla remota e interna cittadina siciliana di Regalbuto, dove atterrano dopo un movimentato giro per lo spazio e intorno al mondo, si svolge il viaggio dei terroni del sud in una girandola di colpi di scena e di eventi drammatici ma con finale fiducioso e lieto.