Norman Borlaug, l’uomo che ha nutrito il mondo

Il 12 settembre ricorre il primo anniversario della morte di Norman Borlaug, l’uomo che ha “nutrito il mondo”. Padre della Rivoluzione Verde e premio Nobel per la Pace nel 1970.

Con l’aiuto della Fondazione Rockefeller le sue ricerche hanno portato a sviluppare nuove varietà di grano, riso e altre colture ad alta produttività, in un momento storico in cui pareva che l’aumento della popolazione mondiale avesse superato la capacità dell’agricoltura mondiale di produrre cibo.

Nel 1960 il Messico produceva grano, 1400 kg per ettaro. Nel 1963 utilizzando la varietà nana che Borlaug aveva sviluppato le rese passarono a 2700 kg per ettaro.

Ai critici (spesso bianchi e ben pasciuti) della rivoluzione verde Borlaug parlava così

Chiedo spesso ai critici della moderna tecnologia agricola: come sarebbe stato il  mondo senza gli avanzamenti tecnologici che sono accaduti? Coloro che professano delle preoccupazioni per l’ambiente, considerino l’impatto positivo risultante dall’applicazione delle tecnologie fondate sulla scienza. Se nel 1999 avessimo ancora avuto le rese mondiali di cereali del 1961 (1.531 kg per ettaro), avremmo avuto bisogno di quasi 850 milioni di ettari di terreno in più, e della stessa qualità, per produrre i 2.06 miliardi di tonnellate di cereali prodotti nel 1999.

È ovvio che quella terra non era disponibile, e certamente non nella popolosa Asia. Oltretutto, anche se fosse stata disponibile, pensate all’erosione del suolo e alla perdita di foreste, praterie e fauna selvatica che avremmo causato se avessimo cercato di produrre quella quantità di cereali con la vecchia tecnologia a basse rese.

E poi

Alcuni critici hanno detto che la rivoluzione verde ha creato più problemi di quelli che ha risolto. Questo non lo accetto, perché io credo sia molto meglio per l’umanità cercare di risolvere i nuovi problemi causati dall’abbondanza piuttosto che avere a che fare con il vecchio problema della fame.

Non è una esagerazione dire che Norman Borlaug salvò centinaia di milioni di persone dalla fame, e fu per questo che gli venne assegnato il premio Nobel per la pace.

Entro il 1970 ben 40 milioni di ettari di terra in tutto il mondo usavano le sue varietà nane di cereali, soprattutto in Asia e in America Latina, ma un suo grande cruccio fu che l’Africa rimase praticamente ai margini della rivoluzione verde.

Era ben consapevole che le sue ricerche avevano solo rallentato il problema ma non lo avevano eliminato del tutto

La rivoluzione verde ha raggiunto il successo temporaneamente nella guerra dell’uomo contro la fame e le privazioni; ha dato all’uomo un po’ di respiro. Se pienamente implementata la rivoluzione può fornire cibo a sufficienza per sostenerci nei prossimi trenta anni. Ma la potenza terrificante della riproduzione umana deve essere piegata, altrimenti i successi della rivoluzione verde saranno effimeri.

Per questi motivi Borlaug era un convinto e appassionato sostenitore delle biotecnologie agrarie. In un suo articolo molto famoso, intitolato “Porre fine alla fame mondiale. La promessa delle biotecnologie e la minaccia degli zeloti anti-scienza” si scaglia contro quelli che lui chiama “estremisti ambientalisti” e i nostalgici dei bei tempi andati, di cui purtroppo abbiamo vari e influenti rappresentanti anche qui in Italia. Coloro che, opponendosi alle nuove biotecnologie agrarie, impediscono che i poveri del mondo ne possano beneficiare. Argomentava così Borlaug:

Il riso è l’unico cereale immune alla ruggine Puccinia sp. Immaginate i benefici se il gene che dona l’immunità alla ruggine nel riso potesse essere trasferito in grano, orzo, avena, mais, miglio e sorgo. Il mondo potrebbe finalmente liberarsi dal flagello della ruggine, che ha causato così tante carestie nella storia dell’Umanità.

In un discorso tenuto nel 2000 a Oslo di commemorazione del Nobel ricevuto trenta anni prima, Borlaug, ripercorrendo i successi della rivoluzione verde e guardando al futuro, ritorna sul tema

Io sostengo che il mondo ora ha la tecnologia – già disponibile o molto avanzata in fase di ricerca – per nutrire in modo sostenibile una popolazione di 10 miliardi di persone. La domanda più pertinente oggi è se agli agricoltori e agli allevatori sarà permesso utilizzare questa nuova tecnologia.

Mentre le nazioni ricche possono certamente adottare posizioni favorevoli a rischi ultra bassi, e pagare più per il cibo prodotto con il metodo cosiddetto “biologico”, un miliardo di persone cronicamente sottonutrite dei paesi poveri non può farlo.

Ci sono voluti 10.000 anni per espandere la produzione di cibo ai livelli attuali di circa 5 miliardi di tonnellate per anno. Entro il 2025 dovremo di nuovo raddoppiare la produzione attuale. Questo non può essere fatto a meno che gli agricoltori nel mondo possano avere accesso ai metodi di produzione attuali ad alte rese, oltre che ai miglioramenti biotecnologici che possono aumentare le rese e la qualità nutrizionale delle nostre coltivazioni di base.

Vorrei chiudere con una sua esortazione:

“Abbiamo bisogno di introdurre un po’ di buon senso nel dibattito sulla scienza e la tecnologia in agricoltura, e prima si fa meglio è”

e ricordarlo con un grafico, il SUO grafico, che mostra l’aumento della produzione mondiale di cereali, a fianco dell’andamento quasi costante delle superfici di terra utilizzate.

Non riesco a pensare a nessun altro grafico che lo possa ricordare meglio. Ed è un grafico che in molti farebbero bene a ripassarsi prima di parlare di “nuovi modi di produrre il cibo” su larga scala.

Ciao Norman.

Redazione

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