Carnevale, Copacabana, Coppa del Mondo FIFA. In una sola parola Brasile.
Ma dietro questi scintillanti aspetti vi è un lato oscuro derivante dal trattamento riservato agli indigeni, ultimi discendenti dei 10 milioni di indiani che popolavano il Brasile sino al 1500, quando i primi europei iniziavano la cosiddetta colonizzazione. La nuova ricchezza del Brasile viene dalla spoliazione sistematica degli indiani e dal furto delle loro terre. Come se non bastasse è in atto la preparazione di un nuovo assalto alle ultime terre che gli indiani sono riusciti a mantenere.
Anche gli stadi che ospiteranno i mondiali sono frutto di tali spoliazioni. Lo stadio più piccolo, a Curtiba con una capacità di 41.456 posti, potrebbe andare bene alla più grande tribù amazzonica, il Tikuna, con i suoi 40.000 soggetti. Mentre il più grande stadio quello di Maracanã con i suoi 76.804 posti può tranquillamente contenere la più grande tribù del Brasile, il Guarani con i suoi 51.000 soggetti, alcuni dei quali viviono a soli 50 Km da Rio
Rio de Janeiro, San Paolo, Porto Alegre e Curitiba. Queste città si trovano in aree dove sono particolarmente acuti i conflitti per le terre. Le tribù che vivono nel Sud del Brasile, Guarani Mbya, Guarani Ñandeva, Kaingang, Xokleng e Xeta, vivono in piccoli appezzamenti di terreni, poiché allevatori senza scrupoli hanno letteralmente rubato la maggior parte del loro territorio.
Quando iniziarono i lavori per la Coppa del Mondo allo stadio Maracanã di Rio de Janeiro, un gruppo di 70 indiani provenienti da 17 tribù diverse che occupavano una villa abbandonata del 19° secolo, fu sfrattato e la villa distrutta per fare posto ad un mega parcheggio ed a un museo del calcio. Gli indiani volevano farne un Centro Culturale Indigeno. Oltretutto la villa nel 1910 fu sede del primo Istituto di ricerca culturale indigena in Brasile. Successivamente divenne sede principale per il Servizio di portezione indiano, oggi FUNAI e fino al 1978 era la sede del Museo dell Genti Indiane in Brasile.
Nell’area dello stadio di Cuiaba, Stato del Mato Grosso, vivono le tribù di Nambiquara, Umitina e Pareci. La tribù di Nambiquara ha subito pesantemente l’autostrada BR-364, finanziata dalla Banca Mondiale, per costruire la quale la loro fertilissima valle fu rasa al suolo. Tuttora la loro terra è meta sistematica di cercatori di diamanti, taglialegna ed allevatori privi di scrupli.
A circa 100 km a Nord-Est di Belo Horizonte, dove sorge lo stadio di Belo Horizonte, Stato di Minas Gerais, vi è un territorio indigeno chiamato “Fazenda Guarani” abitata dagli indiani Krenak e Pataxò. Queste tribù hanno subito pesanti perdite per essersi opposte strenuamente alla frontire coloniale in espanzione. Nel 1960 ls Stato Brasiliano costruì due prigioni segrete gestite da militari. Lo scopo di queste prigioni era quello di punire e riformare gli indigeni che resitevano alle invaasioni delle loro terre. Oggi una Commissione Verità sta indagando sui maltrattamenti degli indiani nelle prigioni.
Manaus è la capitale dello Stato dell’Amazzonia, dove sorge lo stadio di Manaus, prende il nome dell’ormai estinta tribù Manaos. Durante la dominazione portoghese questa tribù, guidata dal Capo Ajuricaba, si oppose strenuamente agli invasori senza successo. Manaus è cresciuta in maniera massiccia alla fine del XIX secolo quando esplose il boom della gomma. Migliaia di indigeni furono ridotti in schiavitù e costretti a lavorare la gomma subendo terribili atrocità, che hanno provocato migliaia di morti per torure, malnutrizione, malattie. Alcuni degli indiani, per evitare la schiavitù, si ritirarono verso le sorgenti degli affluenti del fiume Amazon dove vivono tuttoggi ed evitano accuratamente ogni contatto con il resto del mondo. Ad un centinaio di kilomentri da Manaus vi è la terra degli indiani Waimiri Atroari. Questa coraggiosa tribù ha combattuto sin dal XVIII secolo contro l’invasione di cacciatori, raccoglitori di gomma ed allevatori. Ma il colpo di grazia lo hanno avuto dall’autostrada costruit nel loro teritorio nel 1970. Nel 1988 la loro popolazione era crollada da 6000 a soli 364 anime. Oggi si contano circa 1500 soggetti e si presume che nel loro territorio vi siano gruppi di indigeni che non hanno mai avuto contatti con la cosidetta società civile.
A poche ore di macchina da Brasilia, dove sorge lo stadio di Brasilia, sopravvive ancora la tribù degli Ava Canceiro che conta solo una quarantina di anime sopravvissute alla costruzione della diga Serra de Mesa, che ha “annegato” tutti i loro territori di caccia, ed ai proiettili dei sicari ingaggiati dal ranch Camagua di proprietà di una Banca brasiliana.
Delle 23 tribù della costa nord orientale, dove vi sono gli stadi di Recife, Salvador, Fortaleza e Natal. Solo la tribù dei Fulnio conserva la loro lingua. Questa zona è stata tra le prime ad essere colonizzata e le tribù indigene hann pagato a caro prezzo la loro lotta per il diritto alla terra con violenze e l’assassinio dei loro capi. Sempre a poche ore a sud di Salvador gli indiani Tupionambà sono attualmente presi di mira dalla polizia che li vuole sfrattare dai loro villaggi a favore di allevamenti di bestiame.
Il Governo Brasiliano ha stanziato per la sicurezza durante i mondiali qualcosa come 791 milioni di dollari. Una cifra pari a dieci volte il bilancio annuale del Dipartimento per gli Affari indiani. Per non parlare delle stratosferiche cifre spese per la costruzioni di queste cattedrali costruite in mezzo al deserto di strati di popolazione che vive nella più profonda miseria.
Per la FIFA ufficialmente il Brasile fu scoperto il 22 aprile 1500 quando il portoghese Pedro Alvares Cabral entrò nel sud della moderna Bahia. Contrariamente a quanto, invece, afferma il leader indiano Davi Kopenawa Yanomami secondo cui il Brasile esiste da quando “Omame” il Creatore lo ha creato. Sempre la FIFA magnifica le imponenti risorse economiche della foresta pluviale, ovviamente dimentica che La foresta pluviale non è solo una ‘fonte di ricchezze naturali’, è la casa ancestrale di centinaia di migliaia di indiani, e molta parte di essa è stata rubata o distrutta. Infine la Coca Cola. Utilizza per promuovere i propri prodotti l’immagine sorridente di indiani, ma acquista lo zucchero dal gigante dell’alimentare Bunge. Questo gigante coltiva la canna da zuccheo su terreni rubati agli indiani Guarn. Un portavoce di quest’ultimi afferma: “… mentre queste aziende fanno profitti stratosferici, il mio popolo è costretto a sopportare fame, miseria e delinquenza”.