II culto religioso ed agrario di San Giuseppe

II patriarca San Giuseppe, padre putativo di Gesù, è sicuramente uno dei santi più amati di tutta l’i­sola.

Ogni famiglia ha tra i suoi componenti qualcuno con il suo nome, così come risulta patrono di moltissimi paesi, con l’intitolazione di numerose chiese. Natural­mente, nome, come costume vuole, nelle varianti di: Giuseppe, Giuseppi, Pippinu, Piddu, Peppi, Pinu, Pè, Peppuccio, Giusè. Gli stessi nomi sono utilizzati anche al femminile: Giuseppa, Pippina, Piada, Peppa, Fina, Giusy. In Sicilia la sua devozione è abbastanza fervente al punto che, in certi paesi, si arriva a festeggiarlo anche tre volte l’anno: il dicianno­ve marzo, il primo di maggio (S. Giuseppe lavoratore) ed il primo del mese di settembre o nel mese di agosto. Nei comuni d’origine albanese è festeggiato anche il 26 dicembre, come previsto dal calendario liturgico bizantino. Il popolo siciliano ha instaurato con il padre putativo di Gesù un rapporto intimo e si invoca chiamandolo: Patriarca S. Giusippuzzu, Patri Arcanu, Patri beddu, Patri di la Pruvvidenza, Patruzzu nostru, Giuseppi Immacula-tu, Omu giustu, Granni patri, Munarca di Diu, Patri supremu, ecc. Fino al 1977, la ricorrenza (19 marzo) figurava tra le festività religiose nazionali. «L’immagine del Patriarca ha sempre fatto da capezzale nell’alcova del con­tadino: con il Bambinello in braccio o con tutta la Sacra Famiglia, ma sem­pre al centro dell’attenzione, gli occhi paterni incollati su tutti gli ospiti del lettone, la naca del neonato, l’asinello e la botte col vino. A lui si confidavano (e si continuano a confidare) gioie e dolori, angosce, speranze, delusioni, gelosie, sospetti, desideri inconfessa­bili. Farsi suo devoto era come stipu­lare un’assicurazione contro le avver­sità della vita. Malattie, fame nera e terremoti, carcere, invasione di caval­lette. Per ogni disgrazia trovava una soluzione, il paziente sposo della Ver­gine Maria. E quand’anche non ci riusciva, pazienza! Voleva dire che il Padre  Eterno  non  l’aveva potuto accontentare» (G. Oddo). Nella tradizione popolare, oltre ad essere il protettore degli  orfani e delle ragazze nubili, San Giuseppe protegge soprattutto i poveri. Viene anche implorato come padre della santa Provvidenza ed avvocato delle cose impossibili. La Provvidenza si manifesta con l’uso della promessa, a voto esaudito, dell’allestimento dell’altare e l’offerta del pranzo ai cosiddetti santuzzi, poveri, altrove chiamati virgineddi, vicchiareddi, ecc. E’ anche consuetudine effettuare la promisioni per premunirsi contro even­tuali fatti nefasti che la natura potrebbe sferrare a propri familiari o al proprio raccolto. Insomma, a buon rendere.

I protagonisti del banchetto sacro sono i santuzzi, rappresentati da un uomo, una ragazza e un bambino, che personificano, simbolicamente, la Sacra Famiglia, in passato, tutti nelle condizioni di indigenti. A tal proposito, il Pitrè afferma che: «trattandosi di un omaggio al Padre della Provvidenza, tutto dev’esser grande e spettacoloso, e il pane da la misura della provvidenza della giornata».

Il banchetto per la festa di San Giuseppe, nei paesi siciliani, è rappresen­tato in maniera differente: artaru, cena, cummitu, tavulata. Comunque, in ognuna di queste espressività religiose, i pani votivi sono sempre i veri protagonisti. «La preparazione del banchetto collettivo che, come nelle feste d’origine agricola, assume un valore propiziatorio, assicura i buoni raccolti. La festa di San Giu­seppe è anche legata ai “giar­dini d’Adone” con la realiz­zazione di quei meravigliosi “piattidduzza, o lavureddi”, piatti di grano, lenticchie o ceci fatti germogliare al buio che ricordano il bellissimo giovane greco conteso da Afrodite e da Persefone, ossia la dea dell’amore e della morte, le quali ottennero d’a­verlo sei mesi ciascuna durante l’anno. Morte e resurrezione che stanno ad indicare l’aspetto vegetativo del grano, ma che il mistero della vita dei cristiani. Per i romani il 17 marzo era dedicato a Liber Pater, Padre Libero, dio della famiglia e della fecondità dell’uomo e della terra. Al dio venivano dedicate delle feste chiamate Liberalia. Il suo tempio, nel 495 a.C., era ubicato sull’Aventino. Al dio e agli astanti venivano offerti pani e dolci di farina fritti nell’olio, che richiamano le “sfince”, mentre bruciavano grandi falò simboleggianti l’allontanamento dell’inverno e dei suoi rigori e l’arrivo della primavera vivificatrice. Col Cristianesimo la figura di Libero venne sostituita da un altro padre simbolo della famiglia, San Giuseppe, festeggiato il 19 marzo sempre con benauguranti “vampi” e pani votivi. La tradizione arcaica, nel tempo, si è incontra con quella religiosa rinnovandosi e adattandosi ai nuovi bisogni spirituali, ì ritualità che, attraverso la plasticità del pane, manifesta l’intimo rapporto tra l’umano ed il divino. «Un tempo – ha scritto Braudel – mangiare o bere era soltanto necessità o, al caso, lussi sociali, ma veri e propri giochi comunitari, rapporti fra l’uomo e la società, fra l’uomo e il mondo materiale, l’uomo e l’universo soprannaturale ».

San Giuseppe è una figura portante della cristianità, in quanto depositario di missioni particolarissime, sposo di Maria e padre putativo di Gesù, con­iato alla storia e ai suoi devoti con un’immagine ben specifica. «per il contadino siciliano san Giuseppe è sempre stato un santo singolare, un vecchio saggio di campagna ben introdotto in Paradiso, uomo tra gli uomini sempre pronto a sposare la causa dei bisognosi, ad affrontare le situazioni più scabrose con tanta bontà e un pizzico di spregiudicatezza. Non c’è dubbio, però, che il Patriarca ha sempre assol­to a un ruolo importante nella civiltà contadina, vuoi perché i suoi momen­ti rituali   sono strettamente legati al calendario agrario, vuoi perché (specialmente nel passato) si sostanziava­no in cicliche opportunità di rifonda­zione dell’identità comunitaria.  E continua ad   assolverlo ovunque sia emersa una nuova ruralità, in tutti quegli ambiti territoriali dove l’agri­coltura produttiva coesiste con altre attività (artigianato, piccola industria, turismo, servizi) che tendono a man­tenersi in un equilibrio accettabile con l’ambiente naturale»

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