Si sa che le male lingue non conoscono limiti geografici, figuriamoci se si fanno scrupoli per quelli temporali. Esse attraversano luoghi ed epoche senza ritegno. Se poi certi fatti riguardano terre che appartennero a Pietro l’Aretino “che d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: “Non lo conosco”!”, e insistono nell’evocare certe rivalità di campanile tra luoghi la cui storia è animata da antiche contrapposizioni, è facile che siano assai poco riverenti della grandezza di colui che scelgono come bersaglio. Così che importa a loro se questo si chiama Dante Alighieri, che durante la cruenta battaglia di Campaldino tra la sua parte Guelfa e fiorentina impugnò la spada contro gli “odiati” aretini di fede Ghibellina in quel del Casentino. Or bene, dette malelingue, insistono col dire che il sommo poeta, nel bel mezzo dello scontro, si ritirò dietro un cespuglio per dare sfogo a certe pulsioni fisiologiche alimentate dalla tensione della battaglia. Certo che l’Alighieri un bel ricordo di quelle terre e dei suoi abitanti non doveva avere, tanto che ad un paio di romagnoli (Guido del Duca e Rinieri da Calboli) incontrati in Purgatorio, mette in bocca parole assai poco gratificanti per descriverli:
vertù così per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga:ond’ hanno sì mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura.Tra brutti porci, più degni di galle
che d’altro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle.–
(La Divina Commedia, Purgatorio, canto XIV)
C’è da dire, per amor di verità, che i due incontrarono il poeta in Purgatorio essendo stati in vita noti per la loro invidia, ed anche se Dante lì becca in fase di espiazione delle proprie colpe, non è detto che avessero del tutto perso il vezzo di cui provavano a mondarsi. Tuttavia, quale che fosse il sentire dantesco rispetto alla valle del Casentino, di certo non poté nemmeno lui fare a meno di valutarne l’incomparabile bellezza, tanto che la stessa forma del monte del Purgatorio pare sia stata ispirata da quella su cui sorge il Castello di Romena, uno dei luoghi di interesse storico ed architettonico più significativi di questa valle a nord della provincia di Arezzo.
Il Casentino si estende su una vasta area di circa 800 kmq, divisa in due dall’alto corso dell’Arno che nasce proprio qui, dal Monte Falterona (1654 m. s.l.m.), e delimitata ad oriente ed a nord dall’Appennino Tosco-Romagnolo, e ad ovest da una sua costola, il massiccio del Pratomagno.
Il paesaggio è dominato da vaste coperture boschive, che in gran parte ricadono nel territorio del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, del Monte Falterona e Campigna. Cinghiali, cervi, lupi popolano i folti boschi, ambientazione ideale per le gotiche narrazioni delle “Novelle della Nonna” di Emma Perodi, e protagonisti di variazioni cromatiche sorprendenti nel corso dell’anno, dal verde intenso, al bianco dei manti di neve che qui spesso cade abbondante d’inverno, sino all’autunnale rosso intenso delle fronde degli alberi che iniziano a perdere le foglie. Dai pascoli montani che alimentano allevamenti di qualità per la produzione di ottimi formaggi, si passa alle faggete delle zone più alte, quindi ai castagneti, al querceto e ai coltivi. L’Arno, lungo cui sorgono i principali centri abitati della zona, ha reso pianeggiante una parte del territorio, con piccole valli scavate dall’azione erosiva dei suoi affluenti che convergono verso la principale.
La presenza umana nell’area può essere fatta risalire al Paleolitico, come emerge dai ritrovamenti archeologici. Numerosi gli insediamenti Etruschi che nella zona avevano anche un importantissimo luogo di culto, il Lago degli Idoli, fonte inesauribile di statuette votive ed altri oggetti che rappresentano un patrimonio inestimabile per molti musei in tutto il mondo.
Di grande rilevanza la struttura diacronica della Pieve a Socana, edificata sulle rovine di un tempio romano che a sua volta si era sovrapposto a quelle di un tempio etrusco del quale rimane evidente un’ara del V secolo a.C..
Devono essere stati il silenzio dei boschi, le improvvise aperture verso scorci paesaggistici su una natura meravigliosamente incontaminata e quindi, in definitiva una sorta di sacralità del paesaggio, a stimolare, sin dalle epoche più remote, il concentrasi in Casentino di rilevanti insediamenti religiosi. Oltre a quelli già citati risalenti al periodo etrusco, di particolare interesse è la Pieve di Romena, chiesa romanica nel territorio del comune di Pratovecchio. E poi l’imponente Santuario de La Verna presso cui San Francesco, secondo la tradizione, ricevette le stimmate, abbarbicato sul Monte Penna e visibile da gran parte del Casentino. A partire da qui si percorre l’itinerario della Valle Santa, tra splendida natura e tracce di insediamenti romitici ai crocevia di antiche strade, sino a giungere al Monastero ed all’Eremo di Camaldoli, sedi dell’ordine dei Camaldolesi fondato da San Romualdo. Non si può non far visita al Santuario della Madonna del Sasso, a Bibbiena, alla Villa camaldolese de “La Mausolea” a Soci, ed alle tante piccole chiese e pievi spesso impreziosite all’interno da pregiate “robbiane”.
Nella valle, la contrapposizione tra Longobardi, Goti e Bizantini ha fatto fiorire un numero imprecisato di fortificazioni, torri, castelli, residenza degli antichi signori della valle e dei loro vassalli. Su tutti spicca il castello di Poppi, appartenuto ai Conti Guidi signori dell’Alto Casentino, e che ospita la ricca e storica Biblioteca Rilliana. Il castello domina lo splendido borgo rinascimentale, dove è possibile ammirare la bella basilica della Madonna del Morbo, e la sottostante valle dell’Arno. Più a nord i già citati ruderi del Castello di Romena, edificato intorno all’XI sec. Nel territorio di Stia il Palagio Fiorentino ed il Castello di Porciano, una grossa torre quadrangolare che ospita un museo etnografico. Dirimpetto a Poppi, verso sud, anch’essa in posizione dominante della valle dell’Arno, si scorge Bibbiena, al centro della quale, in piazza Tarlati, si eleva la Torre dell’Orologio, ciò che resta delle fortificazioni distrutte a seguito della battaglia di Campaldino del 1289. La cittadina deve la sua fama a due illustri personaggi, il cardinale Dovizi, che rivoluzionò il modo di fare teatro, intervenendo con gusto ed inventiva su costumi di scena e scenografie; e il grande architetto Galli-Bibbiena, progettista dell’imponente Palazzo Ducale di Mantova.
Da Bibbiena, proseguendo verso Arezzo, si percorre l’area casentinese un tempo di pertinenza dei Vescovi-Conti del capoluogo. Inerpicandosi da Rassina su per le pendici del Pratomagno, e dopo aver fatto visita alla già citata Pieve a Socana, templio delle tre religioni, si raggiunge Talla, piccolo borgo che diede i natali a Guido Monaco, inventore del pentagramma.
Molti fortilizi, torri e castelli, sono ancora visibili in tutto il territorio, anche se assai di frequente ne rimangono soltanto tracce e ruderi, come nel caso del Castello di Fronzola, nei pressi di Poppi, giacché nel ‘400, quando già il Casentino era assoggettato alla città di Firenze, il capitano di ventura Bartolomeo d’Alviano, condottiero al soldo di Venezia, li rase al suolo non essendo riuscito nel suo intento di espugnare Poppi.
Vi sono, come è facile comprendere, molte ragioni per una visita in Casentino, ragioni storiche, culturali, naturalistiche, ma chi vi si trova non dimentichi di scoprirne quelli gastronomici, assaggiando tra l’altro i tortelli di patate (particolarmente pregiati quelli prodotti con la patata rossa di Cetica, una varietà locale), il prosciutto del Casentino, i formaggi pecorini e caprini e il cinghiale.
Giovanni Carbone – www.lalentezza.altervista.org