L’Ecce Homo di Antonello da Messina

Quest’oggi l’aria fresca di primavera e qualche garrula rondine sotto i tetti, mi parla già della vicina Quaresima. Indugio, in questi miei “segreti momenti”, sul mistero più grande di tutti i tempi, quello che da sempre avvolge la figura “carismatica” del Cristo: dentro ad un sudario, Dio fatto uomo. Presto arriverà la S. Pasqua; da buoni cristiani, prepariamoci al suo tepore. E’ il risveglio. Mi adopero anch’io a questo sentire (non potrei davvero farne a meno), ma quest’anno per tutto ciò, intraprendo una via un pò… insolita. Mi va infatti di visitare la bellissima tavola dell’Ecce Homo di Antonello da Messina che si trova custodita al Collegio Alberoni di Piacenza, dove appunto io mi trovo. Entrando nella sala ovattata immediatamente cerco con lo sguardo il dipinto. Eccolo: lo fisso. Come non provare emozioni? – E come non incantarsi? Rimirandolo, avverto una rara e palpabile atmosfera di misticità: quasi un profundere. Ai miei occhi si rivela un Cristo segreto dallo sguardo umanissimo e smarrito, non stupefatto ma bensì umiliato, ed incerto del destino che si è scelto. La sua è una divinità rassegnata in una umanità data allo scherno e vilipesa. Ed è appunto in questa rinuncia all’autorità ed al privilegio che sta la formidabile interpretazione, data da Antonello, del grande messaggio cristiano: Dio è nell’uomo offeso. Insuperabile è, nelle sue linee morbide, l’inclinazione della testa del Cristo, la smorfia della bocca appare plastica, e la disperazione dello sguardo è quanto di più disarmante ci sia. Non oso pensare altro… Senza dubbio la tensione emotiva espressa dal grande pittore siciliano ha davvero alti toni, ed in epoca, non è stata mai sperimentata. Sono certa che nei prossimi giorni le piccole allegrie pasquali, le uova colorate e tutto il resto, saranno dentro me in sottotono, perché vivrà invece più che mai forte e prepotente quel grido, quell’estrema invocazione dell’antonelliano Ecce Homo. Mi faccio strada tra la folla di gente. Esco all’aperto, e l’aria fresca, benevola, mi accoglie nuovamente. Son contenta di aver assecondato questa mia piccola stravaganza. “Adesso, sicuramente, sarà una Pasqua diversa” – dico a me stessa – e sorridendo, svelta mi avvio al prossimo taxi.

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