COP18 and CMP8 – Doha Climate Change Conference

In pieno svolgimento a Doha in Quatar la 18^  sessione della conferenza dei partecipanti alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC/COP18).

Più di 17.000 delegati, quasi 200 Nazioni coinvolte, dal 26 novembre al 7 dicembre si confronteranno sulle politiche di mitigazione e adattamento relative ai cambiamenti climatici. La conferenza segue quella del 2011 tenutosi a Durham, che aveva portato solo a una dichiarazione di intenti, e quella di Cancun del 2010, dalla quale erano invece scaturiti degli accordi operativi. Nonostante il pieno utiizzo del supporto informatico, per abbattere la montagna di carta  tipica delle conferenze internazionali, e l’utilizzo di bus navetta a metano, quasi a simboleggiare il no all’inquinamento,  nell’aria serpeggia un certo pessimismo sui possibili risultati della conferenza stessa per fronteggiare una sfida che coinvolge la popolazione dell’intero pianeta. Tutti si chiedono a quali condizioni si potrà garantire una prosecuzione del Protocollo di Kyoto, unico atto vincolante anche se non ratificato da Paesi grandi inquinatori come gli USA e dal quale si stanno defilando Paesi come la Russia, il Canada ed il Giappone. Nonostante la catastrofica previsione della Banca Mondiale che nel suo ultimo rapporto, presentato qualche settimana fa, ammentte che di questo passo, ovvero senza inversioni significative di tendenza per quanto concerne le riduzioni delle emissioni dei gas serra, di qui a 50 anni l’innalzamento medio della temperatura terrestre si attesterà sui  4°C. . Nonostante  nell “Emission Gap Report 2012” dell’UNEP viene specificata  a chiare lettere  la debolezza degli impegni attuali che i Governi hanno già preso per contrastare il cambiamento climatico; impegni che condurranno in ogni caso il mondo a un aumento della temperatura globale della superficie terrestre fino a 5°C entro fine secolo,  oltre il limite di 2°C che non dovremmo assolutamente superare se vogliamo garantire un futuro alla nostra civiltà. Nonostante l’Agenzia Europea per l’Ambiente il 21 novembre conclude il suo rapporto “Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012” con il monito di procedere urgentemente a realizzare le idonee azioni di adattamento ai cambiamenti climatici per prevenire conseguenze irreversibili e danni irreparabili. (Nel rapporto, tra l’altro, sono mostrate le conseguenze negative e i danni che i cambiamenti climatici stanno provocando in Europa e che ancor più colpiranno l’Europa nel prossimo futuro). Nonostante tutto ciò i Paesi con maggiori responsabilità stentano ad assumere misure concerete e significative per contrastare i cambiamenti climatici in atto.  La stessa Unione Europea avrebbe subordinato la propria disponibilità ad andare oltre gli impegni assunti di ridurre del 20% le emissioni nocive entro il 2020 a patto che “lo facciano anche gli altri”. I Paesi in Via di Sviluppo, dal canto loro, non ammettono compromessi rispetto all’ottenimento dei finanziamenti necessari a sostenere i loro programmi di mitigazione e soprattutto di adeguamento ai nuovi standard ambientali. Inanto senza un rinnovo del Protocollo di Kyoto, che giungerà a scadenza il prossimo 31 dicembre, è reale per il nostro Pianeta una ennesima voragine di deregulation ponendo il nostro futuro nelle amni di miopi affaristi. In questo contesto si svolge la conferenza di Doha. Una conferenza che assume un ruolo di vitale importanza per tutto il Pianeta e da  tutto  il mondo scientifico, dall’intera società civile, dal mondo delle ONG a gran voce si chedono fatti concreti ed impegni precisi e vincolanti. Non per ultimo ll mondo cattolico, che ha lanciato il suo ultimo appello per richiamare alla responsabilità verso le generazioni future i politici che saranno in Qatar ribadendo la necessità che a Doha si proceda secondo il principio della “responsabilità condivisa, ma differenziata”. Tale principio richiede che, sebbene i Paesi poveri abbiano il sacrosanto dovere di fare la loro parte nella lotta all’inquinamento, quelli industrializzati, essendo maggiormente responsabili delle emissioni dannose, devono “dare  il buon esempio” assumendo e perseguendo unilateralmente obiettivi più ambiziosi e più lungimiranti. Anche il Parlamento Europeo condivide una simile impostazione  approvando in questi giorni una mozione nella quale si sollecita la UE affinché “metta l’asticella più in alto riguardo al suo obiettivo attuale di riduzione del 20%” …. perché … “è nell’interesse dell’Unione di puntare ad un obiettivo in materia di protezione del clima del 30% entro il  2020, il che permetterà di produrre una crescita sostenibile, di creare posti di lavoro in più e di ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia». Una mozione approvata con una maggioranza stringata di 331 favorevoli, 306 contrari e 9 astenuti. A riconferma delle preoccupazioni per gli esiti della COP 18.

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