Alberi secolari, manca la normativa nazionale, ci pensano le Regioni

Castagno dei 100 cavalli


Castagno dei 100 cavalli

C’è il Castagno dei Cento Cavalli a Sant’Alfio dal tronco che misura 22 metri di circonferenza e una storia che si mescola alla leggenda; la quercia delle streghe di Capannori dall’aspetto bizzarro e un po’ tetro; il liriodendro del parco Besana di Sirtori in provincia di Lecco, alto ben 50 metri, e l’oleastro di San Baltolu di Luras che per raggiungere le sue attuali dimensioni (la circonferenza del tronco di quasi 12 metri e un’altezza di 15 metri) si calcola abbia impiegato oltre due millenni.

Sono i ”grandi alberi” o ”patriarchi della natura”, i secolari alberi monumentali italiani, un patrimonio culturale unico custode di miti e leggende, ma anche testimone della storia d’Italia. Come gli “Alberi della Libertà”, piantati dagli aderenti ai moti carbonari, o il cipresso di San Francesco in Umbria. C’è chi li ama, li rispetta e li protegge, chi invece li espianta senza preoccuparsi troppo, “come è accaduto in Puglia con gli ulivi secolari, venduti dai contadini ai grandi vivai del nord per piantarli nelle ville della Brianza”, racconta all’Adnkronos Gianfranco Zanna, che segue le vicende dei nostri alberi secolari per Legambiente.

In quest’ultimo caso è intervenuta la Regione Puglia con una normativa ad hoc di tutela del patrimonio arboreo, ma il problema è che manca una normativa unica e l’albo nazionale degli alberi secolari, del quale tanto si è discusso, non è mai stato realizzato.

L’unico lavoro organico a livello nazionale è quello realizzato dal Corpo Forestale dello Stato che dagli anni ’80 stila una lista degli “alberi di notevole interesse” con il risultato di aver schedato 22.000 alberi di particolare interesse tra cui 2.000 esemplari di grande interesse e 150 che presentano un eccezionale valore storico o monumentale.

Un altro passo importante nella direzione della tutela dei “patriarchi” è stato compiuto quando con l’integrazione del Codice Urbani l’allora ministro Rutelli introdusse gli alberi tra i beni culturali che possono essere vincolati. Si tratta, però, di una semplice indicazione che dà la possibilità di richiedere il vincolo alla sovrintendenza, ma un albero secolare che si trovi in una proprietà privata può essere abbattuto senza consequenze legali, se non questo vincolo non è stato richiesto dal proprietario.

E in caso di danni si può contare solo sulla buona volontà dei cittadini. Fortunatamente, quasi tutte le regioni si sono dotate nel tempo di leggi di tutela sulle piante monumentali (ultima in ordine di tempo la Puglia per la questione degli ulivi).

La Regione Siciliana, tramite decreto, ha istituito l’albo dei suoi alberi secolari che finora ha censito ben 243 piante. mentre il direttore dell’Orto Botanico ed Herbarium mediterraneum Francesco Maria Raimondo sta portando avanti un interessante lavoro sui “grandi alberi dell’Unità d’Italia”.

“L’idea dell’albo nazionale degli alberi monumentali, avanzata tempo fa dal ministero dell’Agricoltura, non è mai stata attuata, così come il progetto lanciato dal ministro Prestigiacomo per un censimemto nazionale – spiega Zanna – quando invece una normativa nazionale aiuterebbe, una legge ad hoc che individui le piante da vincolare perché rilevanti. Allo stato attuale ci si può sempre appellare al Codice Urbani, questo è vero, ma è la sovrintendenza che poi mette il vincolo. Il risultato è che a molti alberi storici mancano le cure adeguate”.

Fonte: Adnkronos

Redazione

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