AMBIENTE: La marea nera si poteva fermare prima o evitare del tutto?

Lo scorso 19 settembre dopo 5 mesi è finita la peggior crisi ecologica della storia U.S.A. Nel Golfo del Messico, è definitivamente rientrata l’emergenza marea nera. Le autorità americane hanno dichiarato conclusa la fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma petrolifera “Deepwater Horizon”, esplosa lo scorso 20 aprile al largo delle coste della Louisiana. L’esplosione ha ucciso 11 operai e ha gradualmente riversato in mare quasi cinque milioni di barili di greggio, circa 780 milioni di litri di petrolio. Le conseguenze ecologiche del disastro non sono ancora chiare. Le spiagge e le paludi costiere colpite per centinaia di chilometri dalla marea nera sono ancora il minore dei problemi. Secondo gli esperti interpellati dal quotidiano britannico Independent sono a rischio 8.300 specie di esseri viventi (tutte quelle che popolano la zona). Si conoscono bene gli effetti del petrolio che si riversa in mare anche in enormi quantità dalle petroliere. Ma qui è diverso perché fuoriuscito  a 1500 metri di profondità. Una cosa mai vista prima. E mai visto prima è stato l’uso così massiccio di disperdenti, anch’essi tossici. I disperdenti frammentano il petrolio e lo distribuiscono lungo tutta la colonna d’acqua, così che non appaia in superficie. Nelle profondità del Golfo del Messico ci sono enormi distese di“nuvole” velenose formate da goccioline di petrolio e disperdenti. Il plancton e i piccoli animali,  che stanno alla base della catena alimentare, si contaminano venendo a contatto con queste “nuvole”. O muoiono – e allora non c’è più cibo per le altre creature – o si imbrattano di petrolio e disperdenti, portandoli con se nello stomaco dei predatori. Viene appunto smantellata la catena alimentare della zona. Tutte le creature legate al mare ne subiranno gli effetti per chissà quanto tempo. E in questo senso tutte sono a rischio. La Halliburton (azienda multinazionale specializzata in lavori pubblici e nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi) e la British Petroleum (proprietaria dell’impianto di estrazione del greggio) sapevano settimane prima dell’incidente alla piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico che la mistura di cemento usata per sigillare il pozzo era instabile: così un rapporto della commissione creata dalla Casa Bianca per indagare sul disastro. Tre test condotti dalla Halliburton indicavano che l’impasto di cemento non era in linea con gli standard richiesti. Il risultato fu dato alla Bp l’8 marzo, un mese prima del disastro, ma la Bp non prese alcun provvedimento. Quando scoppiò l’emergenza la Bp lanciò un appello, chiedendo da più parti suggerimenti utili per bloccare l’enorme quantità di petrolio che si stava riversando in mare. Venne aperto un sito apposito per raccogliere proposte, e il governatore della Luoisiana disse infatti “magari viene un’idea utile a qualcuno”. L’idea era arrivata. Un italiano, il Geometra Giancarlo Sansò aveva la soluzione in mano. La Bp e l’Ambasciata Americana, però, lo hanno ignorato, inspiegabilmente. Il Geometra Giancarlo Sansò è un Dirigente Tecnico d’Azienda (Edilizie Industrializzate settore infrastrutture/viabilità), nonché Consulente Tecnico del Tribunale di Ancona e Coordinatore Anas per la Sicurezza Cantieri. Nei suoi 35 anni di attività ed esperienza ha avuto modo di studiare a fondo una miscela chimica dotata di un’intrinseca composizione inbase alla quale, tale miscela, solidifica in presenza di acqua di mare e di fluidi di diverso tipo, compresi gli idrocarburi. Questa soluzione è stata indicata come “diaframma plastico chiuso per rete continua” ed è stata oggetto di brevetto (brevetto rilasciato dall’Ufficio Internazionali Brevetti di Bologna, previa supervisione del Gruppo Ingegneristico). Il Geom Sansò, intervistato dal quotidiano “Il democratico”, dice: “Ho preso in considerazione l’appello lanciato dalla Bp e così il 13 maggio scorso ho scritto alla Bp Italia di Milano e ho mandato un fax con la mia proposta. Non ho avuto nessun riscontro. Considerando che l’intero ecosistema del Golfo del Messico stava andando distrutto giorno dopo giorno, ho scritto anche all’Ambasciata Americana, il 31 maggio, indicando chiaramente che nella mia lettera inviata alla Bp vi era una soluzione possibile per bloccare la fuoriuscita di greggio. Ma anche qui, nessuna risposta”.

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