Il lupo riporta la pecora

È il simbolo del Parco Nazionale della Majella, l’animale che meglio caratterizza questo territorio. È il lupo, che oggi grazie a progetti di tutela come il Life Wolfnet, è tornato a ripopolare le terre abruzzesi. Ma con il lupo è tornato anche l’atavico conflitto tra la specie e le attività umane.

“Il lupo riporta la pecora” è un programma sperimentale di restituzione della pecora previsto dal progetto Life Wolfnet, che ha come obiettivo la sperimentazione, l’applicazione, la divulgazione e la messa in rete, fra tutti i gestori delle aree interessate dalla presenza del lupo, delle tecniche più efficaci per assicurare una migliore gestione della specie e dei conflitti con le attività antropiche.

Il progetto è stato avviato con la benedizione da parte di S.E. Mons. Angelo Spina Vescovo di Sulmona e Valva, del “gregge del Parco”, appositamente costituito per la restituzione di un primo contingente di pecore agli allevatori che negli ultimi tre anni hanno avuto capi di bestiame predati dal lupo e non ritrovati e, per questo, non indennizzati dal Parco.
Sono state 115 le pecore donate a 7 allevatori che avevano dichiarato di aver disperso un pari numero di capi di ovini in seguito ad eventi predatori. Con questa modaliltà l’allevatore ha potuto ricevere, direttamente in azienda, capi corrispondenti dal punto di vista della categoria commerciale, e controllati per gli aspetti sanitari, ed iscritti all’albo della razza Merinizzata Italiana, caratteristica dell’ovinicoltura transumante in Abruzzo.

Il Parco Nazionale della Majella ha lavorato assiduamente negli ultimi anni per favorire la possibile coesistenza tra il lupo, predatore simbolo del Parco, e le attività zootecniche. Azioni innovative come il programma di restituzione sperimentale delle pecore è stata possibile solo dopo aver preso approfonditi contatti con la realtà del comprensorio della Majella. Terra che ospita una specie come il lupo mai scomparsa e che oggi vive in condizioni di buona salute, ma che condivide spazi territoriali anche con le attività antropiche; una convivenza, questa, che ha consentito la maturazione dell’idea di una indispensabile collaborazione vera e fattiva tra tutti i portatori di interesse. Si tratta di un esempio concreto di quelle che intendiamo essere buone pratiche, che possono essere esportate anche in altri contesti ovviamente opportunamente rimodulate sulle caratteristiche territoriali.

Fonte: Legambiente

Redazione

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