Di fronte a questa situazione la Coldiretti – ha concluso Marini – si pone due domande:
•Perché lo Stato investe risorse pubbliche per divenire proprietario di un’azienda che fa concorrenza agli imprenditori nazionali evocando un’italianità dei prodotti in realtà insussistente?
•Quanti casi analoghi esistono e quali iniziative si intende adottare per porre fine a questa grave situazione che frena la crescita dell’agricoltura italiana e del paese ?
IL CASO PARMACOTTO
Nel 2008 la Simest, società per azioni controllata dal Ministero dello Sviluppo Economico con la partecipazione di privati, acquista una quota di partecipazione del 49% in Parmacotto USA, la società che si occupa della distribuzione all’ingrosso dei prodotti Parmacotto negli Stati Uniti. Lo stesso anno apre a New York la Salumeria Rosi, negozio monomarca per la vendita di salumi italiani. “Abbiamo constatato che i clienti li percepiscono come prodotti di alta qualità – dichiara l’amministratore delegato di Simest – e ciò fa crescere l’attenzione per la tradizione alimentare italiana dei consumatori americani”.
I prodotti commercializzati sono quelli della tradizione regionale tricolore, dal culatello alla finocchiona. Tuttavia la metà delle carni lavorate per la produzione proviene , secondo quanto affermato dallo stesso amministratore delegato di Parmacotto, Alessandro Rosi, “da Francia, Danimarca, Spagna e Germania, per lo più”.
Lo stesso processo di produzione è stato trasferito in Usa: nel New Jersey. Tra i prodotti commercializzati sul mercato statunitense c’è anche un Culatello Salumeria Biellese che riporta in etichetta il paese di origine della carne (non italiana) ma il cui marchio è quanto meno fuorviante, visto che non ha niente a che fare con Biella. Nel 2009 Parmacotto Usa riacquista la totalità delle azioni, con un debito verso Simest di 3 milioni e mezzo di euro. Nel 2010 la partecipazione di Simest compare però nuovamente per il 49% delle quote in Parmacotto Usa.
Il 12 ottobre 2011 Parmacotto e Simest annunciano un’intesa per il potenziamento della struttura produttiva e del processo di internazionalizzazione che prevede investimenti per 16 milioni di euro per consolidare la presenza del gruppo in Usa, Francia e Germania. In cantiere anche la realizzazione di uno stabilimento per la produzione di pre-affettati negli Stati Uniti. Alla Simest viene riservato un aumento del capitale sociale pari a 11 milioni di euro.
IL CASO LACTITALIA
Lactitalia è una società a responsabilità limitata costituita nel 2005 in Romania per la lavorazione e la commecializzazione di prodotti lattiero caseari e posseduta al 29,5 per cento dalla Simest controllata dal Ministero dello Sviluppo economico. Il restante 70,5 per cento è controllato dalla Roinvest con sede a Sassari con amministratori, tra gli altri, Andrea Pinna ossia il vicepresidente del Consorzio di Tutela del Pecorino Romano e Pierluigi Pinna ossia il consigliere dell’organismo di controllo dei formaggi pecorino Roma, Sardo e Fiore Sardo Dop.
Lactitalia commercializza in Italia e in altri paesi europei formaggi di “tradizione italiana” col marchio “Dolce vita” (mozzarella, pecorino, mascarpone, caciotta) e di tradizione romena tra cui anche una ricotta con la denominazione “Ricotta toscanella”. “Per voi – si legga nella presentazione dei prodotti sulla pagina internet dell’azienda – abbiamo intrecciato il latte rumeno alla tradizione italiana”.
Tali prodotti evocano in realtà una origine e una fattura italiana che non possiedono, allo scopo di far intendere al consumatore acquirente che i prodotti sono di origine e tradizione tricolore. Ciò arreca un danno al patrimonio agroalimentare nazionale, con il paradosso che l’operazione è addirittura finanziata con l’intervento dello Stato italiano, attraverso la Simest. Dopo la denuncia di Coldiretti, il Ministero delle Politiche Agricole ha istituito un tavolo di lavoro sulla vicenda.
Fonte: Coldiretti