Un’amica racconta… Tindari e l’antro  della “magara”

Nel precipite costone di Tindari, sopra i bizzarri ricami dei laghetti di Marinello, una leggendaria grotta lascia intravedere la sua scura bocca. E’ chiamata la grotta di Donna Villa, maga incantatrice che, come l’omerica Circe, dopo aver adescato i suoi uomini, in modo atroce se ne liberava. Trovare la grotta non è facile e non è neanche agevole arrivarci. E’ consigliabile, infatti, per chi vuole avventurarsi alla ricerca del terribile antro, farsi accompagnare da guide o da gente esperta del posto. Fatta un’arrampicata di un paio di chilometri attraverso un viottolo, si giungerà alla grotta e da quel punto lo sguardo spazierà sul mare, al di là degli stagni, verso l’Arcipelago Eoliano e la penisola di Milazzo a destra, e Capo Calavà sulla sinistra. La grotta presenta un grande buco nella volta: da qui la bellissima Donna Villa si affacciava come da un balcone (“balcone” è infatti chiamato quel buco) per “catturare” i marinai dipassaggio con la sua bellissima voce. Chissà quanti prodi al pari dell’intrepido Ulisse non ce l’hanno fatta a resisterle, e chissà quanti amanti vittime …. I pastori e gli anziani di Tindari raccontano che, come nel mito omerico, Donna Villa, dopo aver amato gli uomini, li portava in un secondo antro, al centro del quale si apriva un pozzo dove gli sventurati finivano. Spaventevole antropofaga Donna Villa divorava poi i corpi dei suoi amanti e delle loro ossa spolpate tappezzava le pareti della grotta. Tuttavia, non tutti gli uomini di passaggio sul mare di Tindari, venivano catturati dalla soavità del canto della “magara”. In questo caso, Donna Villa sopraffatta dall’ira, curiosamente si sfogava conficcando nelle pareti della grotta le sue dita (le immaginiamo lunghe, artigliate, splendenti di gioielli). La leggenda di Donna Villa è dunque questa. Nessuno, sino ad una trentina di anni fà, aveva azzardato un sopralluogo per svelarne i misteri (“da quella grotta nessuno è mai uscito vivo” – sentenziavano i vecchi). Poi, un giornalista ha raccolto la testimonianza di un gruppo di giovani, che hanno compiuto un’escursione nella tremenda spelonca. Uno di questi ha riferito di “avere avuto la possibilità, non senza prima aver dovuto superare difficoltà immense, di constatare e documentare come gli elementi materiali su cui regge la leggenda esistano tutti: i buchi nella roccia, il pozzo all’interno del secondo antro, le ossa che tappezzano le pareti della grotta”. Esisteva, dunque, una Circe a Tindari? Si confuse, nella notte dei tempi, un canto bellissimo di donna al quasimodiano “vento dei pini?”. Se si indugia tra questi calcari strapiombanti, qua e là spruzzati di aromatici arbusti, e sui quali si avventurano, candidi, i gabbiani, si finisce col crederci, col dar torto a chi, ragionevolmente, vi assicura che quelle ossa nella grotta sono di animali e che i buchi nelle pareti non già dalle dita di Donna Villa furono scavati, ma da molluschi marini, e che il “balcone” della maga non è altro che un foro prodottosi sul costone roccioso a seguito di un crollo. Ma (mi chiedo) perché a tutti i costi ostinarsi, e non lasciarsi prendere dal fascino di questa bellissima leggenda?

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