Il podere di don Filippo di Nicosia

podereIn età moderna le scienze agrarie si aprono progressivamente alle discipline naturalistiche. Protagonista di questa grande stagione dell’agronomia è una folta schiera di studiosi i quali, fin dagli inizi del XVII secolo, riescono a raccogliere una gran mole di osservazioni, misurare con scrupolosa attenzione le produzioni vegetali e quelle animali, studiare i risultati ottenuti dall’impiego di strumenti meccanici e di materie fertilizzanti. Scopo del loro lavoro è riuscire ad ottenere la sostituzione delle tecniche di coltivazione arcaiche con metodi innovativi e razionali, capaci di aumentare le produzioni della terra.

In Sicilia, vivace centro di cultura illuministica, sede di una pubblicistica agraria intensa e feconda, per il cospicuo numero di autori e di editori, non mancano in questo periodo uomini culturalmente preparati che si occupano di botanica, di scienze naturali ed, in particolare, di scienze agrarie.

Di questi studiosi rimangono libri e trattati ancora molto utili, dai quali si evincono le antiche tecniche colturali, oggi scomparse o modificate con l’avvento della piena meccanizzazione. Ma tali scritti sono utili anche per conoscere quelle colture che un tempo rivestivano una importanza agronomica ed economica maggiore rispetto ai giorni nostri.

Anche a Nicosia, centro agricolo dell’entroterra siciliano, dove nel passato si sono incontrate e fuse tecniche agricole di opposta provenienza, quali la musulmana e la lombarda, si assiste ad una produzione libraria legata in particolare alle scienze agrarie. Le campagne di Nicosia sono ben dotate ancora oggi di bellezze naturali veramente superbe, costituite da colli ridenti coperti di vegetazione lussureggiante, nel cui fertile territorio, costituito da campi che si succedono ordinatamente, si coltiva l’ulivo, si seminano cereali e si alleva dell’ottimo bestiame. Parecchie sono le masserie e le ville disseminate un po’ ovunque, alcune delle quali interessanti per le caratteristiche architettoniche.

A riguardo, degno di un certo interesse è “Il podere fruttifero e dilettevole”, un trattato di agronomia redatto dal barone Filippo Nicosia e pubblicato a Palermo nel 1735, presso Angelo Felicella, uno tra i più validi tipografi di quel periodo. In tale trattato viene presa in considerazione, così come evidenziato nel frontespizio, “la coltura delle vigne, salceto, canneto, alberi fruttiferi, colla loro istoria, e natura, sì per vaghezza, come per bosco, orti, seminati di frumento, orzo, legumi, col governo de’ Bovi, Vacche, Pecore, ed ogn’altro, che può far vaga, e fruttuosa una possessione”. Il libro, nel quale vengono messe in luce ragioni produttivistiche (o economiche) e ragioni estetiche, per il genere di trattazione risulta tra i più importanti in Sicilia, dopo il “De Agricultura Opusculum” di Antonino Venuto, primo libro di arboricoltura e viticoltura siciliana edito a Napoli nel 1516, e dopo l’”Hortus Catholicus” di Francesco Cupani, pubblicato sempre a Napoli nel 1696.

Il Nicosia, molto probabilmente, oltre che dagli autori classici (Plinio, Catone, Columella, Varrone, Virgilio) e da quelli successivi (Palladio, Tanara, Crescenzio), prende spunto anche dagli scritti francesi in auge nel Seicento, come quelli di Jean de la Quintinye, sovrintendente ai giardini alla corte del Re Sole, il quale riuscì a tradurre le esperienze realizzate con illuminata dovizia di mezzi in lucide riflessioni agronomiche.

Ancor prima, nel 1607, il chierico e poeta nicosiano Martino Ciaurella pubblicava a Palermo, presso Giovanni Antonio De Francisci, la “Descrizione della maravigliosissima villa del signor duca di S. Giovanni nel suo contado, detto S. Michele”.

Don Filippo Nicosia, dei Baroni di San Giaime e Pozzo, nasce a Nicosia nel 1677; a sedici anni, nel 1693, sposa Maria Militello ed alla morte del padre, avvenuta anni dopo, nel 1702, eredita un ingente patrimonio costituito dai vasti possedimenti terrieri. Da quel momento si trasferisce in contrada “San Giàime”, località non molto distante dal paese di Nicosia, al fine di intraprendere una articolata opera di ristrutturazione degli stessi poderi, riguardante la realizzazione, nell’ambito della villa, di peschiere e fontane, oltre alla creazione di ampi viali e giardini. Nella stesura del predetto trattato l’autore fa confluire le sperimentazioni intraprese personalmente nei suoi poderi nel corso della lunga attività agricola. Filippo Nicosia muore nel 1737, all’età di sessant’anni, due anni dopo l’avvenuta pubblicazione del prezioso trattato.

Dalla lettura del libro, costituito da poco meno di seicento pagine e suddiviso in tre parti formate a loro volta da parecchi capitoli, si passa da una composizione erudita e raffinata a quella più schiettamente tecnica.

Ma la caratteristica di successo di tale trattato è data dalla descrizione di una villa ideale con l’annessa masseria, la quale anni dopo si concretizzerà in diverse realtà agricolo-produttive non solo nel territorio nicosiano ma anche in altre parti della Sicilia. Il modello paesaggistico ed agricolo di parecchie ville, realizzate in Sicilia sul finire della prima metà del Settecento, viene preannunciato, pertanto, da quest’opera in cui è indicata anche la destinazione assegnata ai giardini formati da “bossi alti sei palmi, tosati, e fatti a spalliera>>, da <<un filo di Lauri Reggj>>, da “un pergolato delle migliori uve che vi sono”, da filari di “lauri ordinarj… mirti di foglie piene… fili di landri bianchi, rossi, e di color doppio, e di rose d’ogni sorte, e con altre piante di vaghezza posti a modo di viali belli, e larghi a proporzione con suoi gelsomini fatti a volta…cipressi spessi con due fili”. Con le specie e le varietà arboree descritte dal barone Nicosia, da impiegare armonicamente nella realizzazione di giardini nell’ambito della villa, si completa il già lungo elenco redatto dal Cupani, a testimonianza della ricchezza del germoplasma frutticolo esistente già in quest’epoca in Sicilia. Dopo i paesaggi pastorali ed agricoli informi, nasce e si afferma in questo periodo il gusto per il “bel paesaggio”, adeguato al nuovo grado di sviluppo che le forze produttive sociali hanno raggiunto in agricoltura. Non sono più i boschi, i poderi e le costruzioni rustiche a predominare, ma la villa signorile ed i giardini; ed ancora una volta è la proprietà feudale ed ecclesiastica che riesce a conservare una sua preminenza, nei cui possedimenti raramente mancano i giardini, costituiti da piantagioni chiuse e ben difese, sia per il diletto del padrone e sia per l’accrescimento delle loro rendite. Si tratta in questo caso di nuove piantagioni, non più inserite in piccoli appezzamenti arborati e divisi da muretti o siepi, ma ben più estese che lasciano nel paesaggio una impronta caratteristica di un ancora persistente dominio feudale. Pertanto, pur nelle condizioni più difficili, continua ad estendersi in Sicilia il paesaggio del giardino mediterraneo, con le sue colture arboree ed arbustive particolarmente ricche e pregiate; il quale, all’inizio del secolo XVIII, viene ad elaborarsi nelle sue forme moderne per una larga cerchia di territorio, sempre nelle vicinanze dei centri urbani. Ecco che la realizzazione di parecchie ville nel Settecento rappresenta un processo che assume un rilievo non più solo artistico, ma economico e produttivo e che incide sui sistemi e sulle forme del paesaggio agrario. La grande villa signorile in questi anni non è più solo un luogo d’ozio e di svaghi, esclusivamente luogo di villeggiatura, ma diviene il centro di una vera e propria azienda agraria che si potrebbe definire “villa-masseria”, nella quale gli investimenti di capitali non vengono impiegati solo nelle fastose costruzioni ma anche nelle opere di trasformazione agraria; in sintesi, un centro di investimenti capitalistico e di riorganizzazione del paesaggio agrario nell’economia terriera. Gli esempi sono quasi sempre dati da una villa padronale con annesso vigneto, ma anche con oliveti e gelseti, solitamente condotti in economia; dai locali per la lavorazione e conservazione dei prodotti agricoli (palmenti e trappeti); dai poderi più distanti, investiti a cereali, sui quali sorgono nuove case coloniche “i quali campi tutti uniti, oltre della bellezza, che dalla Villa si gode, non impediscano la possessione per le mandre del bestiame, e seminati, che schifano ogni ombra”.

La cosiddetta “casa comoda”, così come viene definita dal Nicosia questo genere di villa, si inserisce nell’ambito di una grande tenuta, abitata sia dal signore o proprietario, sia dal personale necessario per le coltivazioni. Tale villa, poi, viene ad essere realizzata, sempre in base ai canoni dettati dal Nicosia, “sopra la pianura d’un colle nel mezzo della possessione” e suddivisa in tre parti: “civile, rusticana, e per riporvi i frutti”. L’elenco di scrittori originari di Nicosia che si sono occupati di scienze agrarie, questa volta in epoca tardo-illuministica, continua con il canonico Giuseppe Salomone, il quale nel 1819 pubblica nella stessa Nicosia il “Trattato pratico di agricoltura”. Infine, si annovera il naturalista, priore benedettino e docente universitario di Agricoltura, Gregorio Barnaba La Via, che nel 1845 pubblica le “Lezioni di agricoltura teorico-pratica”, presso la tipografia Pastore di Catania. In quest’opera, ma anche in altri suoi lavori, vengono forniti agli agricoltori siciliani una serie di precetti teorici e pratici relativi al miglioramento delle rese. Il La Via è tra i fondatori dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali, una delle più antiche istituzioni culturali della Sicilia, nata a Catania nel 1824 e finalizzata a promuovere il progresso delle scienze naturali, poiché da più parti veniva auspicato, e questo non solo allora ma anche in periodi più recenti, che da un miglioramento tecnico dell’agricoltura siciliana potesse nascere un maggiore progresso economico per l’Isola.

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