Canapa

Senza titolo-1Le ragioni per cui vale la pena leggere un libro sono almeno due: che sia ben scritto, così ci si fa cullare dalla “parola bella”, dal discorso fluido, dall’ordito elegante; e che riesca a raccontare una storia intrigante, coinvolgente, ricca di spunti di riflessione.

“Canapa” ha entrambe queste caratteristiche cui ne aggiungerei una che appartiene a quegli scritti che poi si ricordano nel tempo: quando si arriva all’ultima riga, anche se la lettura ci è parsa più che mai appagante, quasi quasi dispiace che sia finito.

“Canapa” è un diario di vita vissuta, le cui tinte forti appaiono come le quinte d’una scrittura animata da sottile ironia e a tratti persino trasognata, sino a creare talora un effetto straniante, in cui la memoria della durezza del vissuto dei protagonisti sfuma quasi in nostalgia per quell’umanità andata d’un tempo che fu. “Di cose interessanti ne avrei ancora da raccontare e da scrivere, se non fosse per l’enorme ed inutile fumaiolo in mattoni rossi, davanti alla finestra, impotente simbolo fallico di passate grandezze, che mi ingombra la vista e la mente”. Ed in realtà è proprio quel fumaiolo che nel paradosso della sua impotenza “fallica” diviene catalizzatore di memorie di sofferenza per un “lavoro duro e faticoso che riescono a fare solo uomini di grossa forza fisica”. Ma anche donne d’energia inusuale, come Anna Grassi, entrata per la prima volta in quella fabbrica a soli quattordici anni e divenuta presto simbolo d’ogni can3rivendicazione per il miglioramento delle condizioni di chi vi lavorava. Capitava che a quelle seguisse una concessione, perché Anna forse non aveva la prestanza fisica degli uomini, ma in quanto a forza ne aveva da vendere e non perdeva occasione di dimostrarlo come quella volta che “uno degli scaricatori le toccò il culo. Anna senza urlare e strepitare, impugnò il falcetto che usava per tagliare i nodi delle mannelle e, con il manico, lo colpì al basso ventre”. Anna e le sue sorelle presero presto a lavorare al canapificio, per compensare i pochi soldi che il padre riusciva a portare a casa, perdendone assai di più nelle bettole del posto, prima di porre fine ai suoi giorni in un banale incidente da ubriaco. Anna che sopportò di essere abusata dal vecchio padrone della fabbrica, che diede alla luce il figlio di quella vessazione estrema, quasi contrattualizzata, Anna che non resse alle condizioni disumane d’un ambiente malsano, Anna che riuscì a strappare, con l’orgoglio della madre ed a costo della sua stessa vita, a quel vecchio padrone la parvenza d’una umanità mai svelata in altre occasioni, e persino l’affetto per un figlio non “ufficiale”. “Canapa” è proprio la storia di Ciro, il frutto di quell’unione asimmetrica imposta con l’arroganza del potere, anche se dissimulata nei suoi connotati effettivi dall’orgoglio d’una donna (protofemminismo?). Ma è anche il racconto di personaggi che interpretano magistralmente le miserie umane nel loro ruolo di ultimi, come Don Armando Zambuto, esiliato dalla curia per le eccessive attenzioni verso i ragazzini dell’orfanotrofio che dirigeva, e giustiziato con sentenza extra legis. O Aida e Fedora, cui forse non bastavano le concessioni del padrone della fabbrica per smettere di sognare di poter cambiare vita, nemmeno quando sono protagoniste di quell’amore “in accoppiata” concesso loro da Ciro e dall’amico inseparabile Ferruccio Iavarone, detto O’ Cacaglio per la sua balbuzie.  Ed ancora, tra tanti, “il maestro Alois Rosberg una volta cittadino austriaco, ma da marzo, grazie all’Ansclhuss, suddito del Reich”, che ha sposato Benedetta, l’ultima rampolla di casa dei Profili, signori del grande canapificio, e che per le leggi razziali dovrà dare il suo addio alle amate suonate a quattro mani delle colonne sonore dei film di Camerini e Blasetti con Romano Mussolini. Non solo sullo sfondo, ma protagonista essa stessa delle vicende di questo libro, è la narrazione storica dell’ottusità della dittatura fascista e della guerra, con il suo carico infinito di barbarie. A questa Ciro non si sottrae, educato al peggio, come se l’essere figlio illegittimo gli avesse garantito un’imprinting definitivo, l’ineluttabile desiderio di vuotare d’umanità la sua vicenda personale, lasciandosi trascinare dall’irrazionalità della sopraffazione e della violenza. E seppure l’epilogo della storia non potrà che essere quello cui lo stesso autore si rivolge – “Per me è importante solo questo: ricambiare con mali terribili chi mi fa del male”. (Archiloco) -, “Canapa” riesce a fare emergere tratti di sorprendente fragilità anche nelle coscienze più dure dei suoi protagonisti. Un libro bello, in cui il tratteggio dei personaggi è accurato ma mai pedante, che rifiuta i facili scivolamenti manichei della banale contrapposizione tra bene e male, ma che non deroga dallo stigmatizzare, con l’eleganza di un apparente distacco e dell’ironia, la summa delle miserie umane.

nuova foto L’autore, Raffaele Abbate, come ci fa  sapere con molta ironia, “nasce nella prima metà del secolo scorso in una piangente cittadina di provincia (Benevento). Riceve una educazione libera (non giocare a pallone che sudi, non ti toccare che diventi cieco, non guardare quelle signore sul ciglio della strada che prendi le malattie) e compie brillantemente gli studi superiori in Liceo Classico della provincia di Napoli al cui confronto l’orfanotrofio di Davide Copperfield è un asilo Montessori. Frequenta l’università di Napoli a metà degli anni ‘60 e viene vagamente sfiorato dal ‘68. Si laurea e entra nella pubblica amministrazione. Malgrado “la capa fresca” ha fatto una brillante carriera all’INPS dove ignoravano ovviamente quest’aspetto della sua personalità (navigatore di internet, chattarolo, blogger, grafomane). Dal mese di maggio del 2003 è tornato libero e si è dedicato alla scrittura”.

Nel 2004 ha pubblicato con Marotta una raccolta di racconti noir dal titolo I FETENTI. Nel 2007 è uscito il suo primo romanzo dal titolo LA TANA DEL SALMONE per l’editore Azimut. E’ uscito da pochi giorni con l’editore LA MELAGRANA un nuovo romanzo dal titolo CANAPA, una saga su una famiglia di Canapieri dagli inizi del ‘900 sino ai giorni nostri. Oltre a tre romanzi ha pubblicato racconti nelle antologie: Controcuore Azimut Editore) Viaggiare con bisaccia e penna (Lieto Colle editore) Il Rosso ed il Nero (Diamond editore). Collabora con la rivista letteraria web: Lettermagazine.

 

Giovanni Carbone
http://lalentezza.altervista.org/

Potrebbe piacerti anche

Altri articoli in Agricoltura